Doppiopesismo sui derivati in banca
La Banca centrale europea di Mario Draghi è diventata “americana” nell’impiego di nuovi strumenti finanziari e nel principio della difesa dalle propria moneta col “wathever it takes” ma non lo è per i criteri di vigilanza del sistema bancario.
La Banca centrale europea di Mario Draghi è diventata “americana” nell’impiego di nuovi strumenti finanziari e nel principio della difesa dalle propria moneta col “wathever it takes” ma non lo è per i criteri di vigilanza del sistema bancario. Infatti sembra di capire che tra gli stress test americani e quelli europei ci siano notevoli differenze, dato che due colossi europei del credito, cioè la tedesca Deutsche Bank e la spagnola Santander, che hanno passato positivamente l’esame europeo, possono essere bocciate in quello americano (risultati definitivi: 11 marzo). La massa dei derivati fa la differenza.
Negli Stati Uniti si valutano la gestione del rischio e la governance, mentre in Europa, sotto la spinta dell’establishment tedesco, si vorrebbe dare sempre più peso ai titoli di stato in portafoglio, con un effetto penalizzante per un sistema bancario, come quello italiano, che, con questo tipo di investimento realizza quei guadagni differenziali che altri preferiscono cercare con derivati e trading finanziario. Ma sono proprio i derivati che causano le bolle speculative che per le Banche centrali è più difficile controllare. Invece col Quantitative easing, osteggiato da ampia fetta dell’establishment di Berlino, ma che ormai fa parte dell’armamentario della Bce, è possibile tenere sotto controllo il mercato secondario del debito pubblico, riducendo molto i rischi sui titoli di stato, derivanti da squilibri fra domanda e offerta su tale mercato. E ciò anche nel rispetto del divieto del finanziamento del deficit di bilancio di stati membri dell’Eurozona. Serve quanto meno una maggior trasparenza sugli stress test, se non un approccio un po’ più americano.
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