I nostri paria on the ground
I miliziani dello Stato islamico hanno rapito oltre cento cristiani nel nord-est della Siria. Hanno attaccato alcuni villaggi dove c’è una forte concentrazione di cattolici caldei nella provincia di Hassakeh e hanno bruciato la chiesa di Tal Hermez, una delle più antiche del paese.
I miliziani dello Stato islamico hanno rapito oltre cento cristiani nel nord-est della Siria. Hanno attaccato alcuni villaggi dove c’è una forte concentrazione di cattolici caldei nella provincia di Hassakeh, hanno bruciato la chiesa di Tal Hermez, una delle più antiche del paese, tengono prigionieri donne e bambini e hanno deportato dai 90 ai 150 uomini in una zona montuosa per usarli come ostaggi per uno scambio di prigionieri con i peshmerga curdi o per ucciderli chissà in quale maniera brutale. Ma non ci sono solo i sequestri, un’altra ventina di giovani cristiani è sparita dopo aver tentato di resistere ai terroristi, un ragazzo di 17 anni è stato torturato e ucciso, migliaia di persone sono riuscite a fuggire.
Secondo il vescovo Mar Aprem Athniel, l’incursione delle truppe del califfo mette in serio pericolo la vita dei cristiani che abitano in 35 villaggi della zona, si tratta di cristiani assiri che si sono rifugiati nella regione del Khabour negli anni 30 dopo le persecuzioni e i pogrom subiti in Iraq. Nella situazione critica di quelle zone, la condizione dei cristiani è quella più drammatica. Non hanno la forza militare per difendersi come i curdi (che per il momento restano anche i nostri unici “boots on the ground”), non hanno eserciti né stati pronti a difenderli o dare un supporto, non hanno protettori né tra gli sciiti né tra i sunniti e sono stati completamente abbandonati dalle forze della coalizione anti Isis. Sono dei paria, nella peggior condizione possibile nel posto peggiore possibile del mondo. “Dov’è la comunità internazionale?” ha chiesto Shlemon Warduni, il vescovo caldeo ausiliare di Baghdad. Non c’è molto tempo per rispondere.
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