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Tienimi da conto Tripoli
Chi ha seguito i negoziati libici da vicino spiega cosa può fare l’Italia. Giuseppe Buccino, ambasciatore italiano in Libia, è stato uno degli ultimi diplomatici occidentali a lasciare il paese, mentre tutte le ambasciate avevano già chiuso e la situazione di violenza nel paese diventava insostenibile.
Giuseppe Buccino, ambasciatore italiano a Tripoli, è stato uno degli ultimi diplomatici occidentali a lasciare la Libia, mentre tutte le ambasciate avevano già chiuso e la situazione di violenza nel paese diventava insostenibile. Buccino è tornato in Italia il 15 febbraio, ma fino a pochi giorni fa era nei saloni dell’ambasciata italiana che le due parti in conflitto in Libia, il governo di Tripoli, retto da una joint venture di gruppi e milizie con ascendenze islamiste, e il governo di Tobruk, sostenuto dalla comunità internazionale, si incontravano per negoziare. Buccino conosce quindi la situazione da vicino, e questa settimana, in un convegno organizzato a Roma dall’Istituto affari internazionali, ha spiegato che un qualsiasi intervento in Libia dovrà imparare dagli errori del passato, e che “non possiamo far prevalere una parte sull’altra, altrimenti scateneremmo il problema terrorismo”.
La comunità internazionale finora ha avuto come suo interlocutore quasi esclusivo il governo di Tobruk, e anche se la “soluzione diplomatica” del conflitto, sostenuta anche dal governo italiano, prevede un accordo tra i due governi libici (e dopo una convergenza armata contro lo Stato islamico), è alto il rischio che un intervento si trasformi in un appoggio incondizionato a Tobruk contro Tripoli. Questa soluzione è sostenuta dal presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi, uno dei più coinvolti nel conflitto, ma finora la Farnesina se ne è saggiamente tenuta a distanza perché – come dice Buccino – il risultato sarebbe altra guerriglia. Prima una riconciliazione difficile e un governo di unità nazionale, e poi addosso ai baghdadisti. E se non si può? Si vedrà.
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