La partnership mercato-cittadini contro il degrado urbano
Perché parte dallo Sblocca Italia il “Piano Marshall” per ricostruire le città e rendere più efficiente la Pa.
Roma. Il decreto Sblocca Italia viene costantemente demonizzato dalle associazioni ambientaliste perché riapre alle trivellazioni petrolifere nel “giardino di casa”. Eppure un altra parte del testo approvato a novembre conferisce ai cittadini la possibilità di riprendersi i “giardini” delle aree urbane degradate e farle rifiorire. Un’opportunità per migliorare la qualità della vita in città, fare business e rendere più efficienti le amministrazioni pubbliche.
Il decreto (art. 24) permette ai cittadini di dialogare con la Pubblica amministrazione affinché la cura dello spazio urbano possa essere gestita da associazioni locali, in cambio di detrazioni o sconti fiscali. Oppure perché possano esercitare pressione affinché il comune affidi opere di riqualificazione o alcuni servizi a privati specializzati in facility management (ingegneria, edilizia, cura del verde, trasporto ecc.), con la garanzia che i contributi versati verranno utilizzati per un’area o un progetto specifici, a seconda dei bisogni relativi dei cittadini stessi. In astratto si crea un “condomio urbano” con le imprese private a fare da agenti per conto della cittadinanza in luogo di una amministrazione pubblica deficitaria o incapace, per mille motivi – bilanci in rosso su tutti – di rispondere alle richieste. Esempi virtuosi si trovano all’estero. Il quartiere di Hammarby a Stoccolma in Svezia negli anni Novanta da baraccopoli industriale è diventato una cittadella verde da 25 mila abitanti grazie a una bonifica massiccia (metalli pesanti e oli combustibili). I territori ricettivi, con associazioni di “cittadinanza attiva”, in Italia si trovano col proverbiale lanternino ma stanno lentamente aumentando. A partire da Bologna, venticinque comuni hanno adottato una forma di gestione condivisa per recuperare immobili o aree inutilizzate (negli Stati Uniti 54 milioni di persone vivono in “comunità autoregolate”, dice Confedilizia). Si apre quindi una prateria per le aziende.
L’International facility management association (Ifma), branca italiana dell’associazione globale che conta 24 mila membri in 94 paesi – 10 miliardi di metri quadrati di proprietà e servizi venduti per 100 miliardi di dollari annui – vede opportunità di business significative. Alfredo Romeo, imprenditore di Romeo Gestioni, che gestisce anche immobili pubblici, nominato ieri presidente di Ifma Italia, prende le mosse dalle innovazioni dello Sblocca Italia per spiegare le potenzialità di evoluzione dello scenario urbano. “Serve un salto concettuale solo in apparenza semplice – dice al Foglio – Il passaggio dall’idea di manutenzione delle città e del territorio, alla gestione integrata degli stessi. Agire per progetti e non solo per funzioni, perché la linea di confine dell’innovazione è determinata dal concetto che, nel mondo e nel tempo in cui viviamo, non è più importante la proprietà, ma quel che se ne fa”.
Romeo nel suo “manifesto” d’insediamento in Ifma paragona la riqualificazione urbana a una sorta di Piano Marshall per l’Italia. La definizione è accattivante, anche per i suoi associati – Ifma nasce negli Stati Uniti nel 1980 – ma come spiegare una simile portata sviluppista e soprattutto strategica? “Il Piano Marshall diede ossigeno economico all’Italia devastata dalla guerra. Noi immaginiamo che il volano economico generato dall’intervento su riqualificazione, manutenzione e gestione delle città e del territorio, potenzialmente anche extraurbano, possa coinvolgere con piccoli investimenti centinaia di imprese sparse per il paese, con un effetto a cascata sulla domanda interna paragonabile a quello che una volta era l’effetto generato dalle grandi opere infrastrutturali, tipo autostrade. Solo che allora c’erano i soldi del debito pubblico. Oggi non ci sono più quelle risorse, ma esistono invece appunto sul territorio, in termini di concessioni, tributi, fiscalità di ritorno, lotta all’evasione e soprattutto all’elusione fiscale”. In che modo contrasterebbe evasione e/o elusione? “Faccio l’esempio di un modello gestionale che ho conosciuto da vicino: in un’area di quattro ettari e mezzo, il comune incassa tributi solo su 12 passi carrai su circa ottanta censiti sul quel segmento di territorio urbano. La regolarizzazione di quelle posizioni rappresenterebbe una bella risposta all’elusione. Moltiplichiamo un esempio del genere per cartellonistica pubblicitaria, informazioni pubblicitarie, concessioni per occupazione di luogo pubblico eccetera e vedremo che solo con la lotta all’elusione si recuperano risorse straordinarie. Ma per fare questo servono modelli gestionali integrati che solo l’industria (e la committenza) del facility possono mettere a punto”. Romeo ritiene questo un esempio di come la coabitazione di operatori privati e pubblici possa fornire uno stimolo all’efficienza dello stato o dell’ente locale: “Fare quanto detto sarebbe un vantaggio. La Pubblica amministrazione dovrebbe cominciare a muoversi in termini di ‘responsabilità di risultato’ di fronte ai suoi interlocutori (cittadini e operatori privati). Quando si muoverà per rispondere rapidamente al bisogni di servizi del cittadino-utente, ci sarà una svolta epocale. Le pastoie burocratiche sono sotto gli occhi di tutti. La realtà è che è impensabile che oggi se un privato interloquisce con la Pa per valutare gli sviluppi di un piano territoriale, rischia una incriminazione per turbativa d’asta, come minimo, o che un piano di valorizzazione venga deciso nei polverosi meandri, mentali e strutturali, di un ufficio amministrativo di un qualche assessorato”.
[**Video_box_2**]L’esperienza estera, anche qui, corre in soccorso per spiegare il divario italiano da colmare nella direzione dei progetti urbanistici e infrastrutturali. Negli Stati Uniti sono stati dati in outsourcing servizi di posta, vigili urbani, manutenzione strade. In Canada è comune la figura del Facility manager a fare da cinghia di trasmissione tra il sindaco, le imprese e la cittadinanza; un regista degli interventi di politiche urbane. Le metropoli italiane, come Roma o Milano, dovrebbero essere sistemate per quartieri, rioni o strade vista la superficie e l’assenza di un coordinatore unico. Pur senza una regia definita dall’alto, si creerebbe un meccanismo virtuoso di concorrenza tra aree urbane che in astratto porterebbe a ricostruire le città come fossero dei puzzle.
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