Chai Jing alla presentazione del documentario "Under the Dome"

Non è che l'ecodocumentario poi fa venire strane idee? L'ansia di Pechino

Redazione

Questa volta la velina del governo di Pechino è arrivata tardi, e il suo contenuto era più blando del solito. “Tutti i media devono evitare di promuovere ulteriormente ‘Under the dome’, l’opinione pubblica online deve essere regolata”.

Roma. Questa volta la velina del governo di Pechino è arrivata tardi, e il suo contenuto era più blando del solito. “Tutti i media devono evitare di promuovere ulteriormente ‘Under the dome’, l’opinione pubblica online deve essere regolata”. “Under the dome” è un documentario sull’inquinamento in Cina uscito il 28 febbraio e girato da Chai Jing, ex anchorwoman della tv di stato cinese. Inizialmente il documentario è stato accolto senza problemi dalle autorità, Chai Jing, che è un personaggio pubblico piuttosto noto in Cina, è stata anche intervistata dal Quotidiano del Popolo, il giornale del Partito comunista. Poi l’interesse per il documentario è esploso, e il governo ha iniziato a preoccuparsi. In due giorni “Under the dome” è stato visto 100 milioni di volte, che è un’enormità se si pensa che parliamo di un documentario di quasi due ore in lingua cinese, pieno di grafici e spiegazioni scientifiche – e che “Titanic”, uno dei film più visti di sempre, nei lunghi mesi in cui è stato nelle sale in America è stato visto da 128 milioni di persone. Nello stesso momento i social media cinesi si riempivano di centinaia di milioni di post (erano 280 milioni già domenica sera), preoccupati, scandalizzati e arrabbiati con il governo. Così è arrivata la velina del Partito, pubblicata dal sito China Digital Times, che raccoglie tutti gli ordini che sfuggono al segreto dei censori in una sezione chiamata come l’orwelliano ministero della Verità: smettete di promuovere “Under the dome”. Ma il guaio era fatto, in Cina si parlava solo di quello.

 

“Under the dome” ricorda per stile “Inconvenient truth” di Al Gore. Chai Jing parla spesso al pubblico, in un ambiente che ricorda quello di una grande sala conferenze, mostrando grafici e animazioni. Chai però non parla dello scivoloso riscaldamento climatico, ma del più tangibile smog, e lo fa da una prospettiva individuale che attira i cinesi molto più di tutti i discorsi idealisti dei nostri santoni ambientalisti: perché, si chiede Chai, mia figlia è nata morta a causa di un tumore ai polmoni?

 

[**Video_box_2**]Chai parte da questa domanda durissima, e continua con ancora maggiore durezza. Accusa le grandi multinazionali cinesi del carbone e del petrolio, fa apparire i funzionari del ministero dell’Ambiente cinese come impotenti, quando non inutili, descrive una Cina avvolta in una crisi ambientale pericolosa e permanente. C’è molta retorica dell’emergenza nel documentario di Chai, e un’emotività così accentuata da apparire quasi disonesta, quanto basta per far rimuginare contro governo e mercati. Chai non parla quasi mai della crescita economica strabiliante che ha tolto dalla povertà milioni di persone, e sembra dare per scontato che il tumore di sua figlia sia stato provocato dallo smog. “Under the dome” è un documentario girato per provocare scandalo, ma nonostante questo non è stato censurato. Non è vietato dire che la Cina è inquinata (come è vietato, nonostante ogni evidenza, dire che la Cina è capitalista), e si può parlare di smog abbastanza liberamente. Se vivi nelle metropoli cinesi, dove a soffiarti il naso annerisci il fazzoletto, lo smog è un chiodo fisso, ci sono app che tutti i giorni ti avvertono se è pericoloso uscire di casa, e il governo annuncia spesso misure per ridurre fumi e polveri inquinanti, compreso il grande accordo bilaterale sull’ambiente firmato con Barack Obama dal presidente Xi Jinping. Un episodio legato allo smog fa anche parte della mitologia presidenziale di Xi che, nella primavera di due anni fa (il racconto fu prima confermato e poi smentito dall’agenzia di stampa ufficiale Xinhua) avrebbe preso un taxi in incognito, e parlato per dieci minuti buoni con l’ignaro tassista del gran problema dello smog a Pechino. Ma se lo smog a Pechino non è un tabù, il rumore provocato dal documentario di Chai è molto superiore a quello che il governo può sopportare. Perché in Cina spesso il problema è la quantità, e quando un fenomeno muove troppe persone diventa pericoloso in maniera automatica. Quando Chai, in video, esorta i cinesi a dire: “Non sono soddisfatto”, il censore collettivo del Partito smette di pensare che sta parlando di smog, e ci si dimentica presto dei livelli di CO2.

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