Come acciuffare il treno di Draghi
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ieri ha informato che il 9 marzo avrà inizio il programma di Quantitative easing (Qe), ovvero l’acquisto di titoli, in gran parte pubblici, per 60 miliardi almeno fino al settembre 2016.
Il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ieri ha informato che il 9 marzo avrà inizio il programma di Quantitative easing (Qe), ovvero l’acquisto di titoli, in gran parte pubblici, per 60 miliardi almeno fino al settembre 2016. La finestra potrebbe allungarsi ulteriormente finché non verrà raggiunto l’obiettivo di avvicinare al 2 per cento il tasso di inflazione dell’Eurozona, attualmente attorno allo zero. La liquidità già immessa dalla Bce sul mercato, attraverso prestiti alle banche, e soprattutto le aspettative degli stimoli futuri hanno deprezzato l’euro, sceso ieri ai minimi dal 2003 contro il dollaro. Le intenzioni ormai concrete di Draghi hanno anche fatto scendere i tassi dei debiti pubblici e calare lo spread tra i paesi periferici dell’Eurozona e la Germania.
Le manovre espansive della Bce non sono però bastate per generare una spinta all’insù nei prezzi. E benché le prospettive di crescita del pil dell’Eurozona siano migliorate, così come gli indici di fiducia delle imprese e dei consumatori, non si delinea una crescita robusta. Ciò spiega in parte la cautela di Draghi circa la durata del Qe che potrebbe prolungarsi non si sa per quanto e per quali importi. Qui appunto emergono le difficoltà e i paradossi in cui si trova Draghi circa la entità di acquisti che potrà effettuare. Infatti le banche della zona euro non sono molto propense a vendere alla Bce i titoli pubblici di stati membri che hanno accumulato perché servono a loro stesse per soddisfare i requisiti di liquidità stabiliti dalle regole europee. Le compagnie di assicurazione, ad esempio, detengono i titoli pubblici per soddisfare i requisiti di solvibilità. E paradossalmente è proprio la politica della Bce di tassi bassi o negativi, di utilizzo dei debiti pubblici come collaterali di prestiti alle banche e alle imprese, che ha accresciuto i pregi dei titoli di stato europei dal punto di vista della liquidità e della solvibilità.
[**Video_box_2**]Le banche dei paesi a basso debito pubblico non hanno grande spazio per vendere alla Bce. Quelle di stati con un elevato debito ne avrebbero molto di più ma possono essere riluttanti a farlo perché l’impiego alternativo in prestiti a imprese periclitanti può essere decisamente più rischioso. Pertanto se l’Italia vuole ridurre il debito pubblico che grava sull’economia deve invogliare le banche a investire nelle imprese migliorandone le prospettive. Per tale scopo è certamente utile alleggerire il quadro fiscale e normativo – contratto di lavoro subordinato a tutele crescenti, superamento dell’articolo 18 per i licenziamenti collettivi – ma anche offrire progetti e programmi significativi – vedi l’allargamento della diffusione della banda larga – e sostenere operazioni di ristrutturazione aziendale, ricostruzione infrastrutturale nelle città e sulle arterie dei trasporti.
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