Patonza social. Così un giudice francese mette in difficoltà Facebook
Arte e pornografia per i censori del social netwoork sono la stessa cosa e la mannaia di Zuckerberg si abbatte su chi pubblica immagini di nudo. Il caso di un professore francese che ha postato il quadro di Courbet e della sentenza della Corte francese che potrebbe rivoluzionare la giurisprudenza di internet.
La patonza su Facebook non può girare, pena la rimozione del post, un messaggio di minaccia a non ripetere quanto accaduto, infine, se si è recidivi, il blocco di qualche giorno del profilo. Queste le regole, questa la prassi. Non ci sono eccezioni, nemmeno se il nudo in questione in questione ha 149 anni e l'hanno visto un po' tutti sui libri di storia, al museo oppure in qualche mostra itinerante, nemmeno se questo è l'Origine del mondo, nel senso di dipinto di Gustave Courbet esposto al Musée d'Orsa a Parigi.
Facebook da sempre ha avuto blocchi contro la pornografia: sono citate nei termini di contratto che si autorizzano con un click - senza quasi mai leggerli - al momento dell'iscrizione al social network e hanno una loro utilità per salvaguardare i minori. Ma cosa succede se il filtro anti pornografia sanziona qualcuno che posta foto non pornografiche, ma artistiche, come nel caso dell'Origine del mondo? Il filtro non fa selezioni, rileva le immagini inadeguate, lo segnala e poi arriva la sanzione.
Arte e pornografia sono quindi la stessa cosa, la mannaia di Zuckerberg si abbatte sul proprio profilo e ci si può far nulla. A meno che non si denunci Facebook per aver limitato la nostra libertà di espressione. Così è successo in Francia, dove un professore ha fatto causa al social network per aver leso la sua dignità e sostenendo che il suo diritti alla libertà di parola era stata compromessa perché il social network non riusciva a distinguere la pornografia dall'arte. Il problema? Aver postato l'Origine del mondo (anche il profilo Facebook del Foglio venne sanzionato in estate con due giorni di sospensione dalla pubblicazione dei contenuti per aver pubblicato il quadro di Courbet). In un'udienza gennaio, l'avvocato di Facebook aveva chiesto ai giudici l'archiviazione in quanto non competenti nel caso, poiché l'uomo aveva accettato le policy del sito, che ben specificavano che le denunce legali contro l'azienda sarebbero potute essere presentate solo nei tribunali della California. Ma l'alta corte di Parigi hanno fatto spallucce e, ieri ha emesso una sentenza che potrebbe costituire un precedente importante per Facebook e altre società tecnologiche americane: la competenza in fatto di limitazioni alla libertà di espressione sono di competenza della giustizia francese.
Un sentenza ancor più importante se si considera l'insistenza delle autorità francesi nei confronti dei maggiori social network, dopo la strage di Charlie Hebdo, affinché vengano condivise le informazioni degli utenti qualora questi postino video o immagini che istighino all'odio e all'estremismo religioso.
Potrebbe quindi essere il quadro di Courbet a cambiare il modus operandi dei social network, a costringerli a collaborare con le autorità statali in casi limite come l'estremismo religioso, e soprattutto a dare la possibilità agli utenti di essere più tutelati dall'onnipotenza di Facebook.
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