La resipiscenza del mondano Rushdie
Nel 1989 Salman Rushdie si nascose sotto la protezione della polizia inglese. Sarebbe uscito dalla clandestinità soltanto un decennio più tardi. Aveva imparato la lezione più grande, ovvero quanto è facile essere costretti a entrare nelle tenebre. Questo è ciò che accade ogni giorno nel mondo libero, dai tempi della sua fatwa, a innumerevoli scrittori, vignettisti e giornalisti. Questo è quello che è successo ai redattori di Charlie Hebdo. Da quando sono stati assassinati da un commando islamista, in Europa ma soprattutto in America si sono susseguite voci critiche e attacchi anche pesanti contro il settimanale satirico francese, reo di “islamofobia”, “hate speech”, “razzismo”. Le stesse accuse, fra l’altro, per cui quelli di Charlie Hebdo vennero trascinati nelle aule di giustizia di Parigi.
Ne sono un esempio adesso gli scrittori che boicotteranno la serata di gala al Pen di New York durante la consegna di un premio a Charlie Hebdo. Su questo caso ha avuto un moto di resipiscenza proprio Rushdie, che spesso si è accodato al pigro ricalco del peggiore chiacchiericcio culturale in voga fra la bella gente che indulge alla via breve, inerziale, del partito preso ideologico. E’ l’establishment più ristretto e furbesco del mondo, il demi-monde impazzito di odio di sé. Adesso però Rushdie ha detto che gli scrittori che boicottano Charlie Hebdo sono delle “fighette” e dei “compagni di viaggio di un islam fanatico che è ben organizzato, ben finanziato e che cerca di terrorizzarci tutti, musulmani e non musulmani, in un silenzio intimidito”.
Parole importanti che vengono da un famoso esponente della literary London e di un milieu ultramondano fatto di equivalenza morale, un intellettuale globale che secondo il New York Times “usa i social media con il vigore di un ragazzino”, un colletto bianco di Sua Maestà diventato parte della vita pubblica occidentale, il romanziere che si accompagna a pop star e conigliette di Playboy, che è comparso persino in un cameo nel “Diario di Bridget Jones”, l’ospite d’onore alla presentazione di app per iPad, delle gallerie d’arte a Chelsea, dei ristoranti indiani di cui è socio e delle prime cinematografiche.
[**Video_box_2**]Salman Rushdie è forse lo scrittore, assieme ai redattori martirizzati a Charlie Hebdo, che ha pagato il prezzo più alto all’esercizio sacrosanto e doveroso della libertà d’espressione e che adesso ha capito, forse, che se all’epoca della sua fatwa avessero prevalso gli scrittori che oggi contestano il Pen, la casa editrice francese Christian Bourgois e quella tedesca Kiepenheuer avrebbero avuto ragione a rifiutarsi di pubblicare, per paura e per viltà, le sue “Vignette sataniche”.
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