Sui barconi abbiamo un mare di guai
Senza la Francia il piano per la ripartizione “obbligatoria e solidaristica” dei rifugiati tra i paesi europei, annunciato mercoledì scorso dalla Commissione Juncker, non verrà mai approvato il 25-26 giugno dai capi di governo, unici titolati a farlo. Si potranno avere intese al ribasso per salvare le apparenze; e potrà magari andare avanti la missione militare al largo delle coste libiche, approvata ieri dai ministri degli Esteri e della Difesa della Ue, in attesa dell’avallo Onu. Ma dopo la precisazione del primo ministro francese socialista, Manuel Valls, sulla questione delle quote, l’iniziativa farà la fine di molte altre proposte di Bruxelles, che si confermerà così sede ideale per occuparsi di decimali di pil ma non di vere politiche comuni europee. Il motivo è evidente. La Francia dovrebbe essere il secondo paese europeo a prendersi più migranti, dopo la Germania e prima dell’Italia; e soprattutto Parigi era stata con Spagna, Grecia e Malta a fianco di Roma nel chiedere il ribaltamento della linea europea sull’immigrazione sancita dal Trattato di Dublino: non più accoglienza nel paese di arrivo ma distribuzione tra tutti gli stati. Un asse mediterraneo, e stavolta non sulla flessibilità di bilancio, al quale aveva dato appoggio la Germania, a sua volta garante verso i paesi dell’est a impronta più nazionalista. Questo aveva consentito il superamento del chiamarsi fuori di Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca. Ma se quelle erano le eccezioni previste a conferma della nuova regola, ora la Francia può far saltare tutto. Valls ha parlato a Mentone, alla frontiera con l’Italia dove erano state appena respinte, come altre volte, un migliaio di persone senza permessi e senza requisiti di identificazione. Si tratta di una delle questioni che l’accordo lascia ancora nel vago.
Anche il ministro dell’Interno italiano, Angelino Alfano, passati gli entusiasmi iniziali, ieri in un colloquio con il Corriere della Sera sembrava mettere le mani avanti. Nell’agenda varata la scorsa settimana a Bruxelles “non è specificato in qualce momento scatta la ricollocazione e forse già la fissazione di questi parametri può aiutare le trattative tuttora in corso. Naturalmente noi riteniamo che ciò debba accadere al termine delle procedure di identificazione e fotosegnalamento, quindi pochi giorni dopo gli sbarchi”. Se non fosse così, cioè se il ricollocamento avvenisse solo dopo il riconoscimento dello status di rifugiato, considerato che le procedure italiane richiedono mesi contro le poche settimane degli standard europei, il fardello per l’Italia resterebbe pesante. Senza contare che Bruxelles continua a occuparsi dei rifugiati per asilo politico, ma non si occupa appunto dei clandestini o degli immigrati per motivi economici. Sono questi ultimi, i nove decimi di quanti sbarcano da noi, che l’Europa dovrebbe gestire in maniera razionale. Altrimenti per l’Italia si resta al punto di partenza.
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