Profughi + errori = emergenza
Il mezzanino della Centrale di Milano come un campo profughi, il piazzale come un ospedale da campo. Stazione Tiburtina a Roma sgomberata dagli eritrei accampati. La scabbia, i centri accoglienza che scoppiano. Luca Zaia che chiede ai prefetti di trasferire tutti i profughi dalle località turistiche. Le polemiche e le paure, gli appelli e le frasi in libertà. L’acuirsi in questi, per varie concause, dell’emergenza immigrazione restituisce l’immagine di un paese a un passo dall’essere fuori controllo. Un pessimo segnale, ma soprattutto il frutto inevitabile di due errori e di due mancate strategie. Primo errore, sul fronte esterno, aver deciso di non avere una strategia per le frontiere (né interventi nel sud del Mediterraneo, né accordi, né barriere) se non un filtro d’accoglienza più blando che in passato. Vizi che si sommano alla mancanza di peso specifico in Europa, dove il governo ha incassato solo dei niet, perfino sgarbati. E va notato che la situazione di questi giorni è anche conseguenza della momentanea sospensione di Schengen per il G7 tedesco, che ha bloccato il flusso in uscita, legale e no, dei migranti: basta un niente, e l’imbuto si strozza.
La seconda strategia mancata è invece sul fronte interno. Il dibattito politico è lecito, ma poi bisogna decidere. Lasciare regioni e comuni in una situazione ai limiti dell’insubordinazione e senza direttive nette, è grave. Così come non è possibile – se si è deciso di accogliere o non si può fare altro – non aver predisposto le misure necessarie: luoghi e strutture, caserme o scuole. E non aver rafforzato l’ordine pubblico. Si rischia che la confusione e la tensione, anche sociali, degenerino davvero in una (evitabile) emergenza nazionale.
Il Foglio sportivo - in corpore sano