La rivolta contro l'antimafia alle vongole
I figli di Paolo Borsellino non parteciperanno alla commemorazioni dei ventitré anni dalla morte del magistrato siciliano. Dopo le polemiche contro "l'antimafia di facciata" della figlia Lucia, ora è Manfredi a smarcarsi: "Il 19 luglio? Non ci sarò. Mi sono messo di turno al lavoro, a cercare di fare qualcosa di concreto, non ho tempo per commemorazioni senza senso. Per me, appassionato di calcio, i memorial sono quelli sui campi, non ne esistono altri".
Prevalenti ragioni di ordine etico e morale”. Così Lucia Borsellino ormai una settimana fa, in una lettera acuminata come un atto d’accusa, motivava il suo commiato dalla giunta regionale siciliana guidata da Rosario Crocetta. Privando il governatore e profeta della rivoluzione legalitaria della sua copertina antimafia, dopo lo scandalo dell’arresto del medico personale di Crocetta, Matteo Tutino, asceso nell’ultimo biennio con impressionante rapidità ai vertici della Sanità palermitana. E quando una signora con cotanto cognome mette nero su bianco l’esistenza di un problema etico in un’avventura politica che l’ha vista protagonista, ti aspetteresti un terremoto capace di schiantare Colapesce, che la leggenda vuole regga la Sicilia dal fondo del mare per evitarne lo sprofondo. E invece. Invece, nel giro di qualche ora la politica siciliana ha archiviato la pratica Borsellino facendo spallucce. E lasciando proprio nelle mani di Crocetta l’interim della gestione della milionaria Sanità sicula.
Un silenzio generale che nemmeno il partito dei moralisti, quello della un tempo loquace antimafia politicizzata che tante carriere ha benedetto, ha inteso scalfire. Non una parola per Lucia dimissionaria. Nemmeno da Antonio Ingroia, che di Paolo Borsellino fu giovane allievo agli esordi nella procura di Marsala e poi a Palermo. Le parole come pietre della figlia del maestro non hanno meritato un commento dell’ex pm. Che dopo la fallimentare corsa al soglio dei Palazzi romani ha dovuto ridimensionare le sue ambizioni politiche accasandosi in un cantuccio di sottogoverno apparecchiato per lui proprio da Rosario Crocetta in una delle tante partecipate di mamma regione. Legittimo sarebbe stato aspettarsi una voce, un guizzo, un sussulto, da chi sulla retorica dell’etica pubblica ha salmodiato e rampognato in ogni dove. Di fronte al bivio tra il j’accuse di Lucia e la sequela di Crocetta, protagonista di un fallimento politico e amministrativo pubblicamente certificato dallo stesso Pd siciliano, il fu aspirante premier Antonio Ingroia ha scelto la seconda. Senza troppo rumore, come suggerisce il nuovo corso del professionismo antimafia. Quello che da un pezzo non incanta più nessuno. E che a Borsellino ha furbescamente preferito Crocetta.
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