Gli sputasentenze
Roma. Per mesi, la crisi greca è stata il regno degli urlatori mediatici. Per tutta la durata del negoziato con l’Europa, il governo Tsipras si è esibito in una serie impressionante di dichiarazioni populiste, dissennate o perfino false, dal ministro della Difesa Kammenos all’ex dell’Economia Varoufakis fino allo stesso premier, gioviale nelle sale di Bruxelles quanto demagogo sui palchi delle manifestazioni ateniesi: accuse di nazismo dirette contro la Germania e i suoi leader, di colonialismo e di terrorismo contro la Troika, minacce inquietanti e moti di revanchismo preventivo sono fluiti nelle televisioni e sui giornali greci, hanno inquinato il dibattito, messo a tacere le voci più moderate, imposto sull’opinione pubblica parole d’ordine difficili da condividere. Per i media greci il dubbio è continuo: meglio analizzare seriamente la situazione o dare spazio a chi sproloquia sui risarcimenti della Seconda guerra mondiale? Cosa ci dà più lettori, più clic? E’ il dilemma classico dei media davanti all’urlatore, moltiplicato in Grecia per un intero governo: meglio l’urlo attira-lettori o la serietà? E’ una trappola da cui i media sembrano incapaci di uscire, soprattutto in questo tempo di crisi in cui ogni clic in più vale oro, e che sta creando dibattito anche sui media angolsassoni, che dall’etica del giornalismo sono giustamente ossessionati, a occhio più dei media greci.
Questa primavera, quando le candidature per la campagna elettorale americana erano ancora tutte da fare, Jeff Zucker, presidente della Cnn, ha dato un ordine ai suoi caporedattori: non parlate di Donald Trump. Racconta Dylan Byers, reporter di Politico che si occupa dei media, citando fonti interne al network, che Zucker era stanco dei tatticismi pre elettorali di Trump, miliardario e urlatore di professione, star della versione americana del programma tv “The Apprentice” e famoso per due ragioni: le eccezionali sparate populiste e il toupet platinato che è diventato un marchio di fabbrica. Trump aveva giocato con la possibilità di candidarsi nel 1988, nel 2004, nel 2012, e aveva attirato tutti i giornalisti d’America in una girandola mediatica che gli aveva fornito eccezionale pubblicità, per poi ritrarsi all’ultimo. Non succederà di nuovo, ha pensato Zucker, bisogna smettere di dare spazio all’urlatore e inquinare il dibattito politico senza che dietro ci sia la solidità di una notizia. La Cnn è rimasta fedele al dettame del presidente fino a metà giugno, quando Trump dopo decenni di indugi e furbizie si è candidato per davvero in campo repubblicano, e anche i più austeri standard del giornalismo anglosassone hanno richiesto una certa copertura mediatica su di lui. Ma qui è scattata la trappola dell’urlatore, perché quando Trump ha messo in moto la sua macchina populista tutti, Cnn in primis, sono stati risucchiati. Nessuno scommetterebbe un centesimo sulla candidatura Trump. E’ un circo populista destinato a sgonfiarsi quando i veri candidati inizieranno a fare campagna seria. Ma dalle dichiarazioni assurde e razziste sui messicani, tutti stupratori che portano droga negli Stati Uniti (salvo poi dire, trionfante, che vincerà nel voto dei latinos), fino alle sparate in economia e agli insulti agli avversari, Trump ha attirato così tanta attenzione su di sé che per i media è stato impossibile dare alla sua candidatura il peso che merita, e perfino la Cnn di Zucker ha finito per parlare di lui 400 volte, più di qualsiasi altro candidato repubblicano, più perfino della favorita Hillary Clinton. Sospinto dal populismo e dalla morbosità dei media, il fenomeno si è autoalimentato, Trump è secondo nei sondaggi per la nomination repubblicana (non che questo lo renda credibile), e così i caporedattori hanno una scusa per parlare ancora di lui e attirare lettori e clic. Trump è un buffone, tutti lo sanno, ma è secondo nei sondaggi, vorresti davvero trascurarlo? E poi, visto quanto sono letti i pezzi che parlano di lui?
Il successo recente dei populisti ha riempito anche le aule parlamentari europee, e non solo quella greca, di urlatori e urlatori part time, dagli indignados spagnoli di Podemos all’Ukip inglese fino ai Beppe Grillo e ai Matteo Salvini, e la risposta dei media è quasi sempre quella riservata alle gallery di foto soft porno che riempiono i siti dei giornali: massima copertura e finto distacco. Perché è così difficile riuscire a bilanciarsi tra il populismo e la serietà, che il rischio è esagerare in snobismo e fare la fine di certe odiose copertine dell’Economist, come quella che dava del clown in un colpo solo a Beppe Grillo e a Silvio Berlusconi.
[**Video_box_2**]Così la macchina degli urlatori sembra inarrestabile. La settimana scorsa le massime autorità del Partito repubblicano americano hanno chiesto a Trump di abbassare i toni, lui ha sorriso, ha assicurato che si sarebbe calmato, e poi ha ricominciato a urlare come prima. E i giornali dietro.
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