Migranti, no all'integrazione che diventa multiculturalismo
Il fenomeno migratorio che interessa soprattutto le coste italiane si accompagna a un fenomeno demografico che vede ridursi la popolazione nazionale per effetto della denatalità e dell’aumento della speranza di vita. Così sembra naturale, come scrive Alessandro Pansa sul Corriere della sera, “fare di necessità virtù”. L’idea di fondo, quella di investire per la formazione e l’integrazione degli immigrati per farne una presenza permanente e una risorsa produttiva, non è priva di logica. Il punto debole, che non sfugge affatto a Pansa, è che quello che sarebbe utile in una logica di integrazione, può invece diventare nefasto in quella del cosiddetto “multiculturalismo”, che, come si è visto in Francia e in Gran Bretagna, degenera facilmente nell’antagonismo tra comunità che si combattono anziché collaborare.
Il punto critico di fondo sta nella possibilità o meno di selezionare l’immigrazione. Se questo compito viene affidato a uffici italiani all'estero, in una logica basata su quote e sull’espulsione di chi non le rispetta, è un conto, ma se la selezione, come accade ora, la fanno gli scafisti libici e la mafia schiavista che li comanda, i conti non torneranno mai. Senza nessuna volontà di discriminazione, l’accoglienza deve essere riservata a chi intende partecipare alla vita nazionale secondo le sue regole civili e penali e spetta alle autorità italiane verificare che esistano queste condizioni. La denatalità (che non è una maledizione biblica ma la conseguenza di politiche sociali a protezione della famiglia bislacche o inesistenti) non può diventare il pretesto per una accoglienza indiscriminata di un’immigrazione sulla quale solo bande criminali e forse centrali terroristiche esercitano, oggi come oggi, un controllo. L’immigrazione può essere una risorsa, ma solo in condizioni profondamente diverse da quelle che oggi ci vengono imposte dall’esterno senza peraltro un aiuto solidale decente da parte degli altri paesi europei.
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