Addio al Cnel
Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro, organo costituzionale che dovrebbe essere abolito con la riforma della Carta, va a esaurimento e nessuno lo rimpiangerà. L’organismo, che nella mente dei costituenti avrebbe dovuto esercitare una funzione di raccordo tra le forze produttive – anche in tacito ossequio alla tradizione corporativa della società italiana, istituzionalizzata dal fascismo e magari piegata a sinistra nell’epoca dei consigli di gestione – non ha mai decollato. Anche in tempi di concertazione, che avrebbero dovuto essere favorevoli all’impiego di questo strumento istituzionale, le rappresentanze hanno preferito affidarsi alla contrattazione, che mantiene almeno una parvenza di autonomia reciproca tra le parti. Ora il presidente Antonio Marzano, in vista della scadenza del mandato, ha correttamente rassegnato le dimissioni e l’assenza assoluta di retorica del suo addio, anche se forse intriso di amarezza, gli fa onore. La Cgil ha ritirato la sua delegazione, il che riduce ulteriormente i membri rimanenti del Consiglio, che per effetto della decisione del governo di non procedere a nuove nomine o a proroghe, va scomparendo gradualmente. Meglio così.
Lo snellimento delle strutture istituzionali obsolete è un obbligo in una situazione critica di finanza pubblica. C’è solo da sperare che il trasferimento dei dipendenti alla Corte dei conti (che non ne avrebbe bisogno) e l’attribuzione della sede alla Corte costituzionale non vengano effettuati, in modo da ottenere un risparmio effettivo, attraverso l’allocazione del personale in base alle esigenze reali della Pubblica amministrazione e una vendita del patrimonio. Va riconosciuto, peraltro, che il Cnel, non avendo prodotto nulla, non ha prodotto nemmeno malversazioni e scandali a differenza di molte altre istituzioni, ma questo non basta certo per tenerlo in vita.
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