Non basta un giudice a Strasburgo
Se i matrimoni gay non ce li chiede l’Europa, come pure qualche buontempone avrebbe voluto farci credere all’indomani di una sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) dello scorso luglio, adesso non sarà certo l’Europa a tutelare gli embrioni in Italia. Giovedì la Cedu, rispondendo al ricorso sollevato da Adele Parrillo, una delle vedove della strage di Nassiriya, si è limitata a dire che la Legge 40/2004 sulla fecondazione assistita non contiene “nessuna violazione dell’articolo 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo”. Insomma impedire di donare gli embrioni ottenuti da fecondazione in vitro ai fini della ricerca scientifica non è contrario al rispetto della vita privata della ricorrente.
Il diritto a tutto, sempre e comunque, non esiste, su questo s’attestano i giudici della Corte. E per una volta non procedono oltre con parole ambigue, adatte alla strumentalizzazione di turno in Italia. Su queste colonne abbiamo sempre sottolineato, d’altronde, che non è dalla creatività dei giudici – italiani o europei che siano – che ci attendiamo una legge che tuteli degnamente la vita umana. Anzi, la legge 40/2004 è già stata in larga parte smantellata dallo sforzo congiunto di giudici italiani ed europei. Perlopiù nell’indifferenza dell’establishment politico e culturale italiano. Una certa rassegnazione, ancora una volta, si nota nelle parole dell’attuale ministro della Salute, Beatrice Lorenzin: “Aspettiamo ora un pronunciamento definitivo della Corte costituzionale nei prossimi mesi”. Aspettiamo? Ecco quello che non deve limitarsi a fare chi avesse a cuore la ratio di una legge in cui davvero crede.
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