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Foto LaPresse
Piove tanto, ma va?
Il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha incontrato a Piacenza sindaci e parlamentari del territorio colpito in questi giorni dall’alluvione. Il premier ha poi sorvolato in elicottero la zona, elogiando la forza e il carattere degli emiliani e promettendo che il governo farà la sua parte nella ricostruzione delle aree danneggiate dal nubifragio e che avrebbe dichiarato lo stato di emergenza. Come ogni anno di questi tempi, purtroppo, l’Italia si trova ad affrontare emergenze legate alle precipitazioni autunnali, e ogni volta lo fa come se le piogge intense fossero un evento eccezionale. Si parla di “bombe d’acqua”, si incolpano i famigerati cambiamenti climatici, si accusano le previsioni del tempo di scarsa attendibilità. Passata l’emergenza, viene il momento delle promesse su prevenzione e messa in sicurezza delle zone a rischio, fino alla prossima alluvione. Le piogge intense e abbondanti che hanno colpito il piacentino nei giorni scorsi – ampiamente previste – rappresentano effettivamente un record, o quasi, per la zona. Anche se dire – come ha fatto lo stesso Renzi – che “in quattro ore ha piovuto per un terzo delle piogge annuali” è un calcolo che non ha molto senso, dato che nel totale delle piogge annuali si contano le pioggerelline di novembre che durano due giorni e i temporali di settembre.
I dati raccolti dai pluviometri della Protezione civile non permettono di sapere con precisione la quantità di pioggia caduta nelle stesse zone fino a dieci anni fa, quando erano scarsi e mal posizionati, per questo ogni volta “è record”. Basterebbe osservare con attenzione la conformazione del nostro territorio, eroso nel corso dei secoli da pioggia e vento, per capire che non siamo di fronte a eventi nuovi. Per questo ha fatto bene l’ordine dei geologi dell’Emilia Romagna, due giorni fa, a spiegare in un comunicato che “ci vuole coraggio a parlare ancora di eventi eccezionali, quanto accaduto si ripeterà presto anche in altre città”. Mancata pulizia degli alvei dei fiumi e urbanizzazione in aree notoriamente a rischio. Prima di prendersela con il clima, basterebbe studiare la storia del nostro territorio. E intervenire.
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