Carne diem
Il problema non è la carne rossa, ma noi che non capiamo niente
Alla fine, si potrebbe dire che il nuovo rapporto dello Iarc (International Agency for Research of Cancer), l’agenzia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che si occupa di ricerca sul cancro e di elencare le sostanze cancerogene secondo diversi livelli di pericolosità, non racconti nulla di nuovo. Sono centinaia gli studi citati, studi pubblici, sottoposti a revisione critica, che già si occupavano di definire la relazione tra consumo di carne e tumori. Perché allora tanto clamore? [Continua a leggere l'articolo di Giordano Masini]
Non solo rischi
Non ce la fanno, inutile, non è nella loro natura. Non ce la fanno a cambiare paradigma, o almeno ad aggiornare quello così polveroso e pieno di buchi di cui ancora si avvalgono per interpretare il mondo della salute e della malattia. E così nel tempo delle possibilità e delle opportunità, loro sono rimaste in quello esclusivo della necessità. Parlo delle istituzioni e delle agenzie nazionali e internazionali della salute – specialmente di quelle internazionali, Oms in testa. Un tempo che a sentirle sembra rimasto fermo a cinquant’anni fa, in balìa ancora del bisogno, stretto nel diluviare dei rischi che attentano alle vite delle persone e al benessere delle comunità. [Continua a leggere l'articolo di Roberto Volpi]
Non è solo una faccendoa di carne rossa, c'entra la crisi dell'uomo moderno
Il rapporto Iarc, agenzia Oms, a sua volta agenzia Onu, è apparso subito dirompente per le ripercussioni economiche e nutrizionali. Ma sulle prime hanno già detto tutto le associazioni di settore (ossia: solo in Italia 125.000 posti di lavoro a rischio) mentre sulle seconde rimando a due libri straordinariamente informati, ricchi, esaustivi, entrambi pubblicati con coraggio controculturale dalla casa editrice Sonzogno: “Perché si diventa grassi (e come fare per evitarlo)” di Gary Taubes e il fresco di stampa “Il mito vegetariano” di Lierre Keith. [Continua a leggere l'articolo di Camillo Langone]
Sul treno per Roma tutti mangiano snack e si indignano per il salame
Il mio riflesso nel vetro si fa più nitido ogni volta che il treno entra in una galleria. Cerco un palliativo, qualsiasi cosa, pur di disincagliare l’attenzione dalle secche delle conversazioni altrui: ogni viaggio da Milano a Roma e viceversa dura abbastanza per appuntire i soliti desideri di apocalisse, per visualizzare catastrofici incidenti da cui salvarsi a scapito di tutti gli altri passeggeri. La parlantina che coglie l’italiano su rotaie ha qualcosa di grottesco: più gli annunci registrati ricordano di moderare i toni e di abbassare la suoneria dei telefonini, più i toni sono isterici e le suonerie suonano (macarene, “Nove settimane e mezzo”, Britney Spears, cavalcate delle valchirie, moltissimo Tiziano Ferro); conversazioni vanagloriose, la drammaturgia dell’ostentazione a ogni costo. Di simpatia, savoir faire, faccia tosta. [Continua a leggere l'articolo di Stefano Sgambati]
Il Foglio sportivo - in corpore sano