Il linciaggio giornalistico di una sentenza che nessuno vi fa leggere
Dopo la gogna sui siti internet di ieri, anche i giornali in edicola oggi sono pieni di articoli sulla sentenza del Consiglio di Stato che si è pronunciato sull’appello del ministero dell’Interno dichiarando non trascrivibili nei registri civili i matrimoni tra persone dello stesso sesso contratti all’estero.
La Stampa dedica due pagine alla sentenza del consiglio di Stato, ma cercando con attenzione tra le righe, i titoli, i sommari e le didascalie, da nessuna parte si trovano spiegate le motivazioni del no alla trascrizione delle nozze tra omosessuali all’estero nei registri civili italiani. Un ottimo servizio al lettore che forse sarebbe più interessato a capire i motivi del “no” che non le opinioni personali di uno dei cinque giudici che hanno firmato la sentenza, quel Carlo Deodato reo di avere retwittato in passato alcuni articoli e appelli contrari alle nozze omosessuali. Due articoli velenosi, opinionati, ripetitivi e con diverse imprecisioni (non è vero, come scrive Lombardo, che “mentre con un dito cinguettava, con l’altro firmava una sentenza di un certo peso”, dato che il suo ultimo tweet sul tema risale a mesi fa). Al lettore che vorrebbe informarsi si danno due pagine ricche di fango, del merito della sentenza non vi è traccia. Come se non bastasse, tra le colpe di Deodato c’è, oltre all’essere cattolico, anche l’aver firmato un articolo su tutt’altro argomento sul Foglio, anche questo mesi fa. Ma tanto basta per fare il pigro accostamento.
Il Fatto quotidiano dà qualche informazione in più sulla sentenza firmata da cinque giudici, che però nel titolo diventa “il no del fan delle Sentinelle in piedi”, con tanti saluti a diritto e giurisprudenza. Con capriole notevoli il giornale di Travaglio dimentica di essere a sua volta fan dei giudici e riesce a trovare disdicevole il fatto che Deodato sia stato “allontanato” da Palazzo Chigi dallo stesso Renzi (non dovrebbe essere un eroe, per loro?) e fa passare l’idea che gli altri quattro componenti del Consiglio di Stato siano quattro pupazzi manipolati dal pericoloso giudice cattolico.
Anche il Corriere dedica due pagine al caso (più un corsivo di Pigi Battista che fa notare come un giudice dovrebbe stare più abbottonato sui social network), e anche il Corriere non entra nel merito della sentenza. L’articolo di Ilaria Sacchettoni inizia così: “Il sospetto di una sentenza di parte si rafforza con il passare delle ore”. L’opinione del lettore è così subito indirizzata: di qualunque sentenza si parli, la giornalista ha già avvertito che non va bene. Anche qui a nessuno importa di quello che le dieci pagine della sentenza dicono, con rimandi giurisprudenziali precisi a sentenze passate italiane ed europee e alla Costituzione: conta solo che due dei cinque giudici sono cattolici, e tanto basta per definirli inadatti (uno dei due partecipa addirittura a “severi esercizi spirituali”, come si permette di fare il giudice?). Nel suo articolo Alessandra Arachi riporta le parole di Deodato – “La sentenza bisogna giudicarla sul piano tecnico e giuridico e invito chi mi critica a leggerla” – ma poi non segue il consiglio del giudice.
[**Video_box_2**]Repubblica, che ieri aveva dato il via alla gogna mediatica sul proprio sito riportando gli screenshot dei tweet di Deodato (chi ha fatto la gallery ha messo pure un tweet di Papa Francesco, quando lo scopre Scalfari finisce male), intervista lo stesso Deodato, che spiega come quel tipo di sentenza fosse l’unico possibile, dato che in Italia non c’è una legge sulle unioni civili. Il quotidiano di Ezio Mauro dedica una pagina e mezza alla notizia, che però non è la sentenza in sé (mai spiegata nel merito, ça va sans dire), ma la “bufera sul giudice: tweet prima della sentenza” – là dove quel “prima” si dilata a qualche mese – e tutto l’articolo è incentrato sulle proteste degli attivisti lgbt. Non sapendo come entrare nel merito della sentenza per pigrizia e ignoranza, la polizia del pensiero unico colpisce Deodato per avere espresso le sue idee, gli dà dell'omofobo intransigente solo perché difende la famiglia tradizionale e non si scomoda neppure a leggere le motivazioni scritte.
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