Come si distingue un bravo magistrato da un magistrato reporter

Redazione

“E’ – dice Piero Tony – l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere, di quello che dovremmo essere: è un uomo di potere”. Non solo trattativa stato-mafia e non solo Mafia Capitale.

Nel suo libro “Io non posso tacere”, l’ex procuratore capo di Prato, Piero Tony, mette a fuoco due temi che riguardano i magistrati utili da rileggere alla luce sia del processo sulla trattativa, e l’assoluzione di Mannino, sia alla luce del processo su Mafia Capitale. Tony dice che spesso ci si dimentica che il compito del magistrato non è dimostrare a ogni costo la bontà di una tesi: “Il magistrato deve portare alla luce non soltanto ciò che conferma le proprie idee, ma anche ciò che potrebbe smentirle. Non lo dice il buon senso, lo dice l’articolo 358 c.p.p., titolo V, attività di indagine del pubblico ministero: Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell’articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sotto- posta alle indagini”.

 

“Avete presente – scrive Tony – Karl Popper e la teoria della falsificabilità, secondo cui basta un solo esempio contrario per ritenere falsa qualsiasi proposizione scientifica e non? Il magistrato, secondo me, dovrebbe sempre tenerla presente per non essere accusato di essere politico. Più si è ‘sensitivi’, invece, più si rischia di fare la figura di chi utilizza alcuni strumenti della giurisprudenza come se fossero delle armi”. I magistrati che tendono a non applicare la teoria di Popper sono quelli, secondo Tony, che si ritrovano spesso a gestire le inchieste come se fossero dei reporter e non dei pubblici ministeri e i risultati di una politicizzazione spinta dei magistrati, secondo l’ex procuratore di Prato, è questa: “Inchieste condotte a furor di popolo in quanto sostenute, a prescindere, dai media e dall’opinione pubblica; magistrati sempre indaffarati, con il cellulare all’orecchio e lo sguardo di chi farà giustizia... e magari nelle frettolose retate viene calpestata ingiustamente qualche vita; trionfo del Cencelli negli organigrammi delle procure; correnti ormai votate più a ottenere riconoscimenti che a dibattere sulle necessità giudiziarie per far crescere una sana cultura di giurisdizione; ascesa di alcuni magistrati – sparuta minoranza, per fortuna – ormai geneticamente modificati dalla convinzione che, spesso, per raggiungere un determinato ruolo conta più chi ti propone di ciò che tu stesso hai fatto per guadagnartelo; magistrati che passano mesi in campagna elettorale, mesi a promettere cose che poi dovranno mantenere quando raggiungeranno un obiettivo. E questo genere di magistrato lo si riconosce facilmente. È intrufolino, si appassiona soprattutto a temi mediatizzabili, scrive provvedimenti simili a reportage. È specializzato nel dare le soffiate giuste alle persone giuste (avendo la quasi assoluta certezza che non sarà mai punito).

 

[**Video_box_2**]È, in sostanza, l’esatto contrario di quello che dovrebbe essere, di quello che dovremmo essere: è un uomo di potere. E allora è ovvio che qualcuno pensi, mettendo insieme i pezzi, che talvolta l’azione della magistratura possa nascondere un fine legato non solo al rispetto della legge, ma anche a un’idea della politica. Attenzione, non mi riferisco a complotti o ad altre ingenuità del genere. Qui si tratta proprio di un problema di metodo, individuale. Non esistono complotti, esistono atteggiamenti, che a volte possono essere più o meno diffusi, e questi atteggiamenti spesso presentano lo stesso problema: la legge non è uguale per tutti, ma è più severa con chi non la pensa come te”.

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