L'aereo e i due fronti dello stato islamico
Vuoi colpire l’Egitto? Colpisci i turisti che arrivano dall’estero. Da quando un commando di sei fanatici con machete e pistole – camuffati da agenti di sicurezza – fece strage di turisti dentro il tempio di Luxor, nel 1997, la lezione del jihad egiziano è ancora la stessa: il turismo è il pilastro dell’economia nazionale, porta valuta straniera, vivifica un paese che ha un’economia esangue – oggi più che mai dopo la crisi delle rivolte arabe del 2011. Ma il turismo è anche un bersaglio vulnerabile, esposto ai coltelli, ai mitra e ai bagagli esplosivi. La lezione vale certamente per il disastro aereo dell’Airbus A321 precipitato nel Sinai il 31 ottobre. Il settore turistico è, assieme ai proventi derivanti dalla gestione del Canale di Suez, la maggiore fonte di ricchezza per l’Egitto e contribuisce al 13 per cento del pil nazionale. Circa il 12 per cento della popolazione attiva è impiegato nel settore, che ormai da anni ha imboccato una parabola discendente. Dalle violenze di piazza Tahrir a oggi il settore è passato da quindici a dieci milioni di turisti l’anno. Dopo questa strage nel Sinai – che non è la prima, basta ricordare gli attacchi con le bombe contro gli hotel nell’ottobre 2004 – la tendenza negativa è destinata a peggiorare di molto, è la previsione facile degli operatori del settore. Ieri, ottomila turisti britannici sono rimasti bloccati in aeroporto dopo che otto voli su dieci diretti nel Regno Unito sono stati cancellati senza spiegazioni per i viaggiatori. Secondo le stime del governo inglese ventimila cittadini britannici sono ancora bloccati sul mar Rosso in attesa di essere rimpatriati. Vladimir Kantorovich, dell’Associazione russa delle agenzie di viaggio, dice che i turisti russi in Egitto sono almeno il doppio – ma potrebbero essere fino a settantamila. La stessa associazione ha spiegato che il rimpatrio potrebbe impiegare fino a un mese di tempo.
I turisti indifesi, però, sono soltanto un punto di partenza in questa storia. Lo Stato islamico ha voluto colpire con un solo attacco la Russia e l’Egitto, paesi impegnati entrambi sul fronte della lotta al terrorismo. Appena una settimana fa il Cremlino chiedeva prudenza sull’ipotesi dell’attentato terroristico. Ora, man mano che escono nuove informazioni sull’attacco che ha ucciso 225 persone, lo scenario è cambiato e ieri la Russia ha bloccato tutti i voli per l’Egitto. Ieri, il Point e France 2 hanno citato una fonte anonima vicina agli esperti che stanno analizzando le scatole nere dell’aereo per scrivere che è stata un’esplosione a causare la caduta dell’aereo. Cnn e Bbc dicono che i servizi segreti americani e inglesi hanno intercettato alcune conversazioni tra i militanti dello Stato islamico che confermano che si è trattato di un attentato (sì, è una violazione della privacy; no, nessuno protesta). I terroristi sarebbero riusciti a piazzare una bomba nella stiva dell’A321 prima del decollo. Colpire Egitto e Russia ha un valore simbolico enorme perché si tratta di una rappresaglia anche per operazioni militari che si svolgono altrove, in Siria: questa è la natura del jihadismo internazionale, ovvero che si considera un tutt’uno indivisibile: lo attacchi in Siria e si vendica dove sei più esposto e vulnerabile.
[**Video_box_2**]Come se una bomba nascosta a bordo non fosse già un attacco abbastanza subdolo, nel caso dell’A321 lo Stato islamico ha lasciato che i dubbi sulla natura dell’incidente montassero e ha sfidato il governo russo e quello egiziano: “Dimostrate che non siamo stati noi ad abbattere l’aereo”, ha detto. La strategia comunicativa del Califfato, grazie a questa ambiguità deliberata, ha creato di fatto un clima di incertezza e confusione che ha alimentato ancora di più la paura. Ogni giorno si aggiunge un nuovo dettaglio, una nuova informazione, i turisti bloccati, la scatola nera, le rivendicazioni a intervalli di giorni. E’ un episodio orribile di una lunga guerra. La soluzione, se c’è, non è soltanto all’aeroporto di Sharm el Sheikh, ma va trovata a Raqqa e a Mosul.
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