Giorgio Napolitano (foto LaPresse)

La battaglia di Napolitano: far ragionare i magistrati

Redazione
Convocato dal tribunale di Caltanissetta come testimone sull’assassinio di Paolo Borsellino, l’ex presidente della Repubblica scrive una lettera ai pm per spiegare che le risorse della giustizia si dovrebbero concentrare sull’accertamento dei reati e non disperdersi nella mediatizzazione.

Il tribunale di Caltanissetta non vuole essere da meno di quello di Palermo e così convoca come testimone nel processo sull’assassinio di Paolo Borsellino il presidente emerito Giorgio Napolitano. La richiesta di interrogare l’ex capo dello stato è venuta dalla parte civile che rappresenta un fratello del magistrato ucciso nel luglio del 1992, che vuole conoscere i particolari della “stretta collaborazione istituzionale e personale” di Napolitano con Oscar Luigi Scalfaro. Che cosa abbiano a che vedere questi rapporti politici con l’inchiesta giudiziaria non si capisce proprio. Inoltre la parte civile vorrebbe sapere dei rapporti tra i Carabinieri e Vito Ciancimino, ma non si capisce in che modo Napolitano, allora presidente della Camera, potesse essere informato di questi presunti rapporti. Napolitano ha scritto una lettera al tribunale per spiegare che non ha niente da dire in merito ai reati su cui la corte deve pronunciarsi, così come aveva detto inutilmente a quello di Palermo che volle interrogarlo sulla presunta trattativa tra stato e mafia. Spiega che le risorse della giustizia si dovrebbero concentrare sull’accertamento dei reati e ne critica la “dispersione”. E’ un modo fin troppo educato per dire che l’inseguimento di visibilità mediatica con passaggi che non contribuiscono per nulla a chiarire le circostanze del delitto è uno spreco di tempo e di risorse e corrisponde solo a discutibili interessi mediatici o alla volontà di “fare la storia” invece che perseguire reati specifici.

 

A quanto pare alla fine la lettera di Napolitano ha fatto effetto sul tribunale nisseno, forse per la forza mediatica dell’ex capo dello stato. Il tribunale quindi non procederà a una trasferta romana per sentirsi ripetere da Napolitano che non ha nulla di significativo da riferire. I magistrati nisseni hanno forse perso una ghiotta occasione per far parlare di sé, ma si sono dimostrati più saggi dei loro colleghi di Palermo. Tutto questo avviene “in nome del popolo italiano” e per giunta in relazione all’uccisione di un magistrato efficiente e schivo come Paolo Borsellino, la cui lezione di serietà forse ha contribuito alla resispiscenza dei suoi corregionali nisseni.

 

Questo articolo è stato aggiornato alle ore 20.52