Le balle sul reato di clandestinità
Se ci si limita alla depenalizzazione senza introdurre misure alternative più stringenti, si decide di fatto di accettare, senza contrastarla, l’immigrazione illegale, compreso il traffico di schiavi.
Il governo è alle prese con la questione lungamente discussa dell’abolizione del reato di immigrazione clandestina. Dispone di una delega parlamentare in merito, ma non ha le idee chiare su come agire. Dal punto di vista dell’immagine e del messaggio politico, abolire una norma decisa per scoraggiare l’immigrazione illegale può rivelarsi un boomerang, proprio in un momento in cui le gesta degli extracomunitari a Colonia accentuano le preoccupazioni dei cittadini. Sul piano operativo, poi, trasformare l’immigrazione clandestina in illecito amministrativo provocherebbe un sovraccarico di lavoro alle prefetture senza che sia stato approntato un meccanismo efficiente per smaltirlo. Chi insiste sulla depenalizzazione sostiene che la legge Bossi-Fini non è stata efficace come disincentivo all’immigrazione, che è aumentata in quest’ultimo periodo, ma trascura di mettere nel conto il mutamento del quadro mediorientale e nordafricano. In realtà la legge è stata applicata pochissimo per una sorta di muro di gomma opposto dalla magistratura, che ha opposto cavilli di ogni tipo, dal considerare lo “stato di necessità” un argomento per eludere la sanzione fino al cavillo di negare che gli immigrati soccorsi in mare abbiano commesso il reato, perché l’ingresso nelle acque territoriali italiane sarebbe stato deciso dai soccorritori. In queste condizioni, forse avrebbe senso cambiare la normativa in modo da escludere l’immensa discrezionalità che è stata usata dalla magistratura con effetti equivalenti a una depenalizzazione. Però stabilire che l’immigrazione clandestina è un illecito amministrativo dovrebbe avere la conseguenza che i decreti di espulsione vengono immediatamente applicati, non che si trasformano in pezzi di carta del tutto inefficaci.
Oggi chi viene arrestato per non aver ottemperato all’ordine di espulsione può ricorrere alla magistratura, così, come il un perverso gioco dell’oca, si torna sempre alla casella di partenza. E’ un problema di difficile soluzione, come dimostrano le difficoltà in cui si trova anche la Germania, il cui sistema amministrativo è sicuramente più efficiente del nostro. Se, invece di mettere in piedi la solita sceneggiata tra chi rimpiange e chi demonizza le leggi dei governi precedenti di centrodestra, il governo cercasse di dare una risposta migliore a un problema reale, che peraltro è assai sentito dalla popolazione, forse si potrebbe fare qualche passo in avanti. Dotare le prefetture non solo del potere di constatare l’immigrazione clandestina e di emettere i relativi decreti di espulsione, ma anche degli strumenti operativi per realizzare concretamente l’espulsione e il rimpatrio coatto, naturalmente nei casi in cui è esclusa la condizione di rifugiato, non è semplice ma è necessario. Altrimenti, se ci si limita alla depenalizzazione senza introdurre misure alternative più stringenti, si decide di fatto di accettare l’immigrazione illegale, compreso il traffico di schiavi, senza contrastarla.
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