Gli italiani, un popolo in estinzione
Il primo nato in Italia nel 2016 si chiama Marco Filippo. Partorito all’ospedale Cristo Re di Roma un secondo dopo la mezzanotte del primo gennaio. Peso: 3,560 chili. I genitori, che hanno altri tre figli, sono peruviani.
Natalia Distefano, Corriere della Sera 2/1;
Per la prima volta dal 1919, nel 2015 il numero complessivo dei residenti sul suolo italiano è diminuito: meno 110.125 (dati Istat riferiti al periodo gennaio-agosto).
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
Roberta Carlini: «Pesa un aumento anomalo dei decessi, sulle cui cause il mondo scientifico e quello politico discutono: influenza killer, grande freddo e grande caldo, tagli alle cure, sono diversi i fattori che possono aver colpito gli anziani. Ma pesa anche, e in modo più strutturale, la fine dell’effetto-stranieri. Si riducono i nuovi ingressi, vanno via molti immigrati, anche le donne straniere fanno meno figli. Proprio mentre sale, sul mercato della politica, la paura dell’invasione, gli invasori se ne vanno. E con loro il contributo positivo che hanno portato alla bilancia demografica italiana da 30 anni in qua».
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
Nei primi otto mesi del 2015 ci sono stati 45.121 morti in più rispetto allo stesso periodo del 2014. In termini percentuali, si tratta di un aumento superiore al 10% e in controtendenza: il 2013 segnò un calo di decessi del 2%, il 2014 una riduzione molto più lieve, dello 0,4%. Michele Bocci: «Come durante la guerra, ma senza la guerra. Come se vivessimo sotto i bombardamenti».
Michele Bocci, Corriere della Sera 23/12/2015;
Per Gian Carlo Blangiardo, demografo dell’università di Milano Bicocca, «c’è qualcosa di anomalo. L’invecchiamento della popolazione giustificherebbe circa 16 mila decessi in più, da dove vengono tutti gli altri?».
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
Blangiardo ha notato che un primo indizio viene da Milano, dove i dati degli stessi mesi divisi per età segnalano un’impennata di decessi tra le persone con più di 65 anni, soprattutto tra le donne. I più colpiti sono stati gli anziani con più di 85 anni: i decessi sono quasi raddoppiati, sia tra gli uomini che tra le donne. «Vecchi e grandi vecchi, i gruppi più fragili, più esposti agli eventi avversi. Tra i quali, c’è anche un ambulatorio meno aperto, un accertamento meno sollecito, una cura rinviata. I tagli dei servizi pubblici condizionano le nostre vite. Ogni scelta pesa, stiamo attenti a quei morti».
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
Gli incrementi maggiori si sono avuti a gennaio, febbraio e marzo (+6, +10 e +7mila morti rispetto all’anno precedente). Si tratta dei mesi più freddi, quelli in cui colpisce l’influenza. E si ricorderà il panico che si diffuse nell’autunno del 2014 per il ritiro del vaccino antinfluenzale Fluad da parte della Novartis e la conseguente diminuzione delle vaccinazioni. Difficile però che la malattia stagionale da sola abbia prodotto effetti di quelle dimensioni. La conta dell’Istituto superiore di sanità si è fermata a quota 8mila morti provocati dal problema con la vaccinazione.
Michele Bocci, Corriere della Sera 23/12/2015;
Un altro mese che ha segnato una differenza importante, circa 10mila casi, è luglio. Ma il caldo quest’anno non è stato particolarmente pesante. Insomma, il giallo delle morti in Italia non ha una soluzione.
Michele Bocci, Corriere della Sera 23/12/2015;
Più che il numero alto di decessi, però è la cifra bassissima di nascite che dovrebbe spaventarci. Lo ha scritto sul Foglio lo statistico Roberto Volpi, che ha progettato il Centro Nazionale di documentazione e analisi dell’infanzia e dell’adolescenza. «Quest’anno avremo nascite sotto il mezzo milione: fra le 490 e le 495 mila. Significa 8 nascite ogni mille abitanti. Nell’Europa dei Ventisette si nasce molto di più: 10 nascite all’anno ogni mille abitanti. Sapete che vuol dire? L’Europa è l’area del mondo in cui si nasce meno, e tuttavia a noi, rispetto a quest’area, mancano 120mila nascite».
Francesco Borgonovo, Libero 4/1;
Il ruolo della donna nella società è uno dei fattori principali da considerare, secondo Volpi. «Non si ritiene più che la realizzazione della vita umana passi attraverso i figli. La rivoluzione femminile ha innescato questo processo. La donna ha le chiavi della natalità. Ma oggi la donna sente il bisogno di una realizzazione che va al di là del fare figli. Oggi l’istruzione ai livelli più alti è sostanzialmente femminilizzata. Arrivano alla laurea, al dottorato, ai livelli più alti degli studi sempre più donne rispetto agli uomini. E questo è un fattore decisivo. Così come il lavoro femminile».
Francesco Borgonovo, Libero 4/1;
Intanto, comincia a dichiararsi chi non vuole avere figli: Euribor ha calcolato che si tratta del 2% delle donne e del 4% degli uomini tra i 18 e i 40 anni.
Elvira Serra, Corriere della Sera 9/1;
Il demografo Massimo Livi Bacci è convinto però che sia «indispensabile dare più lavoro alle donne. Quarant’anni fa, nei Paesi nei quali le donne erano impegnate prevalentemente in lavori domestici e i tassi di occupazione erano bassi, la natalità era più elevata. Al contrario, nei Paesi dove i tassi di occupazione erano alti, la natalità era più bassa. Oggi avviene l’inverso: dove c’è un’occupazione femminile alta si fanno più figli e dove c’è un’occupazione bassa se ne fanno meno. Una famiglia ha bisogno di più fonti di reddito, non può più puntare su un solo procacciatore di risorse. Predomina questo ragionamento: faccio le scelte riproduttive se ho una sicurezza economica».
Elvira Serra, Corriere della Sera 9/1;
Ricorda Elvira Serra che «il sociologo danese Gøsta Esping-Andersen tempo fa disse che in alcuni Paesi, tra i quali l’Italia, la rivoluzione di genere partita dalla maggiore istruzione femminile infine si è bloccata: la società non si è adattata alle madri lavoratrici né dentro le famiglie, né dentro il mercato del lavoro, e uno dei risultati è, appunto, una bassissima fecondità permanente».
Elvira Serra, Corriere della Sera 9/1;
L’Istat ha calcolato che in Italia il tasso di fecondità totale, cioè il numero medio di figli per donna, è 1,37, un dato però viziato dalle nascite nelle coppie con almeno uno dei partner straniero. Nel 2014 sono nati in totale 502.596 bambini; quelli da genitori entrambi italiani erano 398.540. Il tasso di fecondità scende, dunque, a 1,29 figli. Non è il più basso della nostra storia. Nel 1995 abbiamo toccato quota 1,19. E se torniamo indietro di un altro decennio, nel 1986, il tasso era di 1,37, come adesso.
Elvira Serra, Corriere della Sera 9/1;
«Questo ci dice due cose: le trentenni e le quarantenni adesso sono a loro volta figlie della denatalità nelle generazioni precedenti; oggi, in proporzione, ci sono meno donne in età riproduttiva rispetto a venti, trenta, quaranta anni fa».
Elvira Serra, Corriere della Sera 9/1;
C’entra anche il fattore matrimonio. Di nuovo lo statistico Roberto Volpi: «Un tempo, il matrimonio era una tappa che doveva essere attraversata da tutti, tanto che chi non si sposava era considerato un fallito, uno che non riusciva a realizzarsi. Ma il matrimonio è decisivo in questa questione. I figli si sono sempre fatti nel matrimonio, sostanzialmente. Perché il matrimonio assicura stabilità».
Francesco Borgonovo, Libero 4/1;
Oggi in Italia l’età media in cui si fa un figlio è intorno ai 31 anni e mezzo, mentre ci si sposa intorno ai 32 e mezzo. Volpi: «Significa che molti figli che nascono da coppie non unite in matrimonio sono il frutto di progetti matrimoniali che verranno realizzati successivamente. Il figlio in media si fa un anno prima del matrimonio. Si procrea e poi ci si sposa. Significa che il matrimonio rientra sempre nella questione figli».
Francesco Borgonovo, Libero 4/1;
Il saldo naturale, ovvero la differenza tra nati e morti, è stabilmente negativo ormai da anni. La vera novità, è che è scesa, piano piano, la compensazione operata dagli stranieri.
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
Per anni l’arrivo degli immigrati, soprattutto con le ondate delle regolarizzazioni, aveva compensato il declino del saldo naturale. E questo è successo per due strade: l’iscrizione all’anagrafe dei nuovi residenti, gli stranieri appunto; e il fatto che le donne straniere facevano molti più figli delle italiane, facendo salire così il tasso medio di fecondità. Adesso tutte e due queste strade si sono assottigliate.
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
E poi ci sono le storie di quelli che partono. Come Catalin Floria, 27 anni, idraulico di origine rumena. Il papà è un edile, lavora in piccoli cantieri e sa fare un po’ tutto. I figli si sono specializzati, e ne ha uno per ogni pezzo delle ristrutturazioni che fa: elettricità, acqua, rifiniture. Hanno affittato una casa grande un po’ fuori Roma, a Guidonia, e tutte le mattine col loro furgoncino entrano nella capitale per lavorare. Tre mesi fa Catalin è partito per andare dalle parti di Stoccarda. «Non è che non c’è lavoro in Italia, io ho sempre lavorato. Ma lì pagano meglio, e le case costano meno, e posso pensare di mettere su famiglia», ha detto Catalin prima di partire. C’è anche un altro fatto, che lo ha convinto al gran passo. «Me l’hanno detto altri parenti che sono lì: se resto senza lavoro per qualche tempo, lo Stato dà la disoccupazione, non devo avere paura di non potere più pagare l’affitto».
Roberta Carlini, Pagina99 2/1;
Secondo l’Ismu solo nel 2014 se ne sono andati dall’Italia 300mila stranieri residenti. Un insieme di cause che ha fatto sì che il saldo migratorio, che per anni è andato a controbilanciare quello naturale, si sia via via ridotto. A gennaio e ad agosto del 2015 è addirittura diventato negativo. Dai 60.795.612 di inizio gennaio, ai 60.685.487 di fine agosto del 2015.
Andrea Rossi, La Stampa 8/1;
Prendiamo il caso di Torino. Qui gli stranieri erano poco più di 41 mila nel 2011, 133mila dieci anni più tardi, hanno toccato il culmine nel 2012 (142mila) e poi hanno cominciato a scendere: duemila in meno ogni anno, con regolarità. Il 31 dicembre del 2015 l’Anagrafe ne ha contati 136.262. E ha certificato che a Torino sono residenti 892.276 persone, oltre 6mila in meno rispetto allo scorso anno. Il segno di quel che sta avvenendo è tutto qui: 6mila e 400 torinesi in meno di cui 1.800 stranieri.
Andrea Rossi, La Stampa 8/1;
Roberta Carlini: «Mancano gli ultimi mesi, ma le previsioni dell’Istat sono univoche: il 2015 si chiuderà in rosso. Cioè ci sarà una riduzione netta della popolazione residente in Italia. Non era mai successo dal primo dopoguerra: neanche durante la seconda guerra mondiale, né negli anni duri prima del miracolo economico. E ha resistito finché l’esaurimento del boom demografico è stato compensato dai flussi migratori. Adesso ci siamo, l’Italia è ufficialmente in via di rimpicciolimento. E non è una decrescita felice».
Roberta Carlini, Pagina99 2/1.
a cura di Luca D’Ammando
Il Foglio sportivo - in corpore sano