Gufi, attaccatevi ai decimali!
Possiamo ancora fidarci dell’Istat? O dobbiamo guardare con più attenzione alle stime di Confindustria e Banca d’Italia, meno ballerine e generalmente meno scoraggianti di quelle dell’istituto centrale di statistica? O magari aveva ragione Winston Churchill quando con humour britannico diceva che “le uniche statistiche di cui ci possiamo fidare sono quelle che abbiamo falsificato”? L’altalena delle cifre sulla crescita cui la fabbrica dei numeri della Repubblica ha sottoposto l’opinione pubblica e la politica italiane nell’ultimo anno, diciamolo, ha un quid di esilarante. Ottimisti governativi e pessimisti in servizio permanente effettivo si sono accapigliati su dati destinati a cambiare perfino nel giro di 48 ore.
L’Istat ha somministrato ai politici una sequenza di docce calde-docce fredde svedesi sui dati della crescita: più 0,7 nel maggio scorso, più 0,9 in novembre, più 0,7 in dicembre corretto a più 0,8 il giorno dopo, più 0,6 subito rivisto a più 0,7 in gennaio, fino all’ultimo 0,8. E non è finita, perché nel mondo degli istituti di statistica tutto è provvisorio e anche questo recente 0,8 è in realtà una stima suscettibile di una ulteriore revisione al rialzo, come altre volte accaduto in passato. Nel 2014 per esempio il valore nominale del pil di tre anni prima (il 2011 che sembrava l’anno della catastrofe) è stato rivisto al rialzo di 59 miliardi, il 3,7 per cento che non è poi un’inezia. Quando i pessimisti rimproverano a Renzi di attaccarsi ai decimali hanno ragione; tuttavia non per i decimali in sé (tra lo 0,8 e lo 0,6 balla un 30 per cento), ma perché il mondo dell’Istat è un universo baumaniamente liquido, ove niente è definitivo.
Il Foglio sportivo - in corpore sano