Solidarietà a Ostellino
La storia forse la conoscete ma vale la pena riprenderla per capire cosa c’è in ballo. Lo chiamano il caso Ostellino ma è un caso che va al di là della singola vicenda giudiziaria che riguarda l’ex editorialista del Corriere e che entra nella carne viva di un dramma italiano: è ancora possibile, in un paese dove la magistratura è politicizzata per definizione, considerare un reato di lesa maestà la critica a un magistrato? Ostellino, per una serie di articoli pubblicati nel 2013 sul caso Ruby, è stato condannato a un risarcimento di 140 mila euro per aver sostenuto che la sentenza sul Cavaliere era dettata da animosità politica contro di lui. Il tribunale di Brescia ha detto che no: non si può accusare un magistrato di essere “politicizzato”, hanno stabilito ovviamente dei magistrati, a meno che non ci siano prove schiaccianti che lo dimostrino (e quali, di grazia?).
Qualche giorno fa è stato pubblicato un appello di solidarietà nei riguardi di Ostellino in cui si afferma, giustamente, che “la diffamazione andrebbe perseguita solo in presenza di dolo specifico e dovrebbe spettare a chi si considera diffamato dimostrarne l’esistenza”. Ma il problema è più sottile e riguarda la famosa libertà di espressione garantita dall'art. 21 della Costituzione più bella del mondo: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. La libertà di espressione, evidentemente, può essere applicata in tutti i casi tranne se i soggetti in causa sono dei magistati. Secondo uno studio sulle cause per diffamazione curato da Morris Ghezzi, dell’Università Statale di Milano, quando è un magistrato a intentare una causa la domanda di risarcimento viene accolta nel 69 per cento dei casi contro il 47 per cento dei comuni cittadini; se è un giornalista ad essere accusato di aver diffamato un magistrato, il giornalista viene condannato nell’83 per cento dei casi. La legge non è uguale per tutti. Solidarietà a Ostellino.
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