Il manifesto di Fassina per Roma e lo spirito elitario di una sinistra senza popolo
Stefano Fassina vorrebbe presentarsi come candidato al Campidoglio, anche se si trova in difficoltà perché vorrebbe ereditare i voti di Ignazio Marino, che però forse si vuole candidare lui in prima persona e senza passare per le primarie della sinistra-sinistra, che quindi paradossalmente, si trova più o meno nelle condizioni del centrodestra, con troppi galli nel pollaio. L’ex viceministro bocconiano, intanto, si porta avanti presentando un programma di rinascita della capitale, che però risulta piuttosto incomprensibile. Michele Magno ha annotato uno degli obiettivi indicati, e vale la pena di riportarlo. “Incontro tra tessuto accademico cittadino e imprese di servizi innovativi e hi-tech, spazi per i co-working e i fab-lab, servizi di sostegno alle startup”.
Dire che le università romane dovrebbero sostenere i giovani che creano imprese innovative sarebbe stato più elementare, ma il linguaggio utilizzato da Fassina non è casualmente oscuro e zeppo di una fraseologia da banca d’affari. Al fondo c’è un’idea elitaria profondamente radicata, che esprime l’atteggiamento di chi offre benignamente al popolo le proprie competenze attendendosi che vengano accettate con supina gratitudine.
Naturalmente le competenze servono e non c’è da scandalizzarsi se il linguaggio prevalente nell’economia sia l’inglese.
Però un manifesto elettorale non è un report universitario, è un tentativo di stabilire un rapporto con un ampio elettorato popolare. Fassina lo sa bene, ma la sua idea del rapporto con gli strati popolari è perfettamente espressa nello stile criptico della sua scelta comunicativa. Il popolo deve sapere che chi critica da sinistra il Partito democratico ha nei confronti dei renziani una superiorità culturale, una visione più moderna e un approccio di livello incomensurabilmente migliore ai problemi della capitale. Non importa affatto, invece, che l’elettorato capisca davvero in che cosa concretamente si differenzia il suo programma da quelli degli altri. Accettare una comparazione nel merito sarebbe persino inutile, visto che questo metterebbe Fassina allo stesso livello dei suoi concorrenti, il che è (per lui) impensabile.
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