A Panama non tutti i leak sono uguali
E’ stato presentato come il più grande leak nella storia della finanza, come una strepitosa inchiesta contro “le grandi evasioni e elusioni fiscali” che, seppur legali, sono “moralmente deplorevoli” perché consentono ai ricchi di rifugiarsi nei “paradisi fiscali” sottraendo risorse “ai cittadini onesti”. E sulla base di questo racconto l’Espresso, che per l’Italia gestisce e diffonde i dati e contenuti dei Panama Papers, ha spiattellato i nomi delle persone “coinvolte”: Carlo Verdone, Barbara D’Urso, Flavio Briatore, Adriano Galliani, Luca di Montezemolo, infilati in un tritacarne mediatico insieme a dittatori, faccendieri e funzionari, senza distinguere chi ha fatto cosa, in una notte in cui tutte le vacche sono nere e ladre. “Spunta il nome di Tizio”, “Salta fuori Caio”, “C’è anche Sempronio”. Ironia della sorte vuole che nei Panama Papers “spunti” anche il nome del proprietario dell’Espresso: “Compare come amministratore, ma non beneficiario, Rodolfo De Benedetti”, precisa il settimanale.
Il figlio di Carlo, presidente del gruppo Cir, è stato amministratore di una società nelle Isole Vergini britanniche aperta dallo studio panamense Mossack Fonseca. La società gestiva “antichi risparmi di famiglia”, dice De Benedetti e “per quanto mi riguarda non sono stato azionista né beneficiario, ma amministratore”. La posizione dei risparmi di famiglia sarebbe stata sanata col fisco. Tutto a posto e tutto in regola, come d’altronde molte delle persone “coinvolte” negli scoop dei Panama Papers. A questo punto si pone però un dilemma. Cos’è “moralmente deplorevole”? La presenza, come ci ha spiegato finora l’Espresso, di tutti i nomi snocciolati sulle pagine del settimanale o “moralmente deplorevole” è, forse, la loro pubblicazione indiscriminata? E in definitiva, in questi casi, trattasi di “inchieste” o di “sputtanamento”? Se non fosse troppo cinico, verrebbe da dire che chi di “spunta ferisce” di “spunta perisce”.
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