Il cortocircuito dell'antimafia
Pino Maniaci, direttore di una emittente siciliana balzata agli onori della cronaca nazionale e internazionale per il suo impegno nel denunciare il malaffare mafioso, è ora indagato per estorsione e non può risiedere nelle province di Palermo e di Trapani. Secondo l’accusa, avrebbe tra le altre cose minacciato i sindaci di due comuni del palermitano, Partinico e Borgetto, chiedendo denaro e favori in cambio della sua “disattenzione” su presunti affari poco chiari delle amministrazioni. La vicenda sembra l’esemplificazione di una nuova “professione”, quella del fustigatore delle ingerenze mafiose, praticata senza scrupoli e con la volontà di acquisire prestigio e potere. Maniaci aveva denunciato con grande clamore – anche grazie a trasmissioni come “Servizio Pubblico” e “Annozero” di Michele Santoro – l’uccisione dei suoi cani come dimostrazione di una ritorsione della mafia per la propria battaglia di legalità. A quanto pare, invece, la vicenda era legata a questioni private e Maniaci lo sapeva benissimo.
L’esercizio della professione di campione dell’antimafia ha consentito all’intraprendente giornalista di esercitare influenze indebite nei confronti delle amministrazioni, in un modo che, se fosse stato messo in atto da altri, si definirebbe mafioso. Adesso, dopo che le inchieste e le intercettazioni hanno indotto la magistratura palermitana a emanare nei suoi confronti il divieto di dimora, Maniaci replica accusando la stessa magistratura di agire per insabbiare le sue denunce sull’uso improprio dei beni sequestrati alla criminalità organizzata. In realtà l’inchiesta è iniziata ben prima che Telejato, l’emittente diretta da Maniaci, affontasse questo tema, peraltro già portato all’attenzione dell’opinione pubblica dalla stampa nazionale. Anche questa linea di “difesa” è tipica dei professionisti dell’antimafia, che cercano sempre di far passare chi li ostacola in qualche modo, compresa la magistratura, come colluso con la criminalità.
E’ grazie a questa intoccabilità del paladino antimafia che Maniaci aveva ottenuto, nel 2009, l’iscrizione d’ufficio nell’albo dei pubblicisti nonostante i suoi trascorsi che comprendevano i reati di furto, assegni a vuoto, truffa, omissione di atti d’ufficio. Maniaci non è il primo dei professionisti dell’antimafia a cadere dal piedistallo che si era costruito. Il presidente dalla camera di commercio palermitana Roberto Helg, il vicepresidente di Confindustria nazionale Ivan Lo Bello e il presidente di quella siciliana Antonello Montante (con accuse tutte da definire, per la verità) sono solo alcuni di una lista che tende ad allungarsi. La lotta contro la mafia è una cosa seria, forse la più seria per sottrarre il Mezzogiorno e non solo al declino economico e al degrado sociale. Proprio per questo deve essere epurata da atteggiamenti e pratiche che corrispondono solo alla ricerca di un potere personale e ricattatorio.
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