Davigo e il processo inquisizione
L'Unione delle Camere penali chiede spiegazioni a Csm e Anm sulla critiche, "offensive dell'art. 111 della Costituzione", del presidente dell'Associazione nazionale magistrati sul ruolo degli avvocati.
"Il Davigo-pensiero si fa sempre più chiaro e, nella formazione dispensata ai giovani studenti salentini, si delinea con chiarezza una idea del processo totalmente inquisitoria". Le critiche al presidente dell'Anm vengono dalla giunta dell'Unione delle Camere penali italiane che chiede all'Associazione nazionale magistrati e al Csm se l'opinione di Davigo sia davvero anche la posizione delle due istituzioni: "Se è vero che la magistratura, soi-disant indipendente e autonoma, debba, sempre e comunque, liberamente e doverosamente esprimere il proprio pensiero sull’universo-mondo della politica, della legislazione, degli affari governativi e della costituzione, ci dica cosa pensa anche di questo ultimo Davigo-pensiero".
Giovedì 12 maggio infatti, all'Aula magna del Tribunale di Lecce in un incontro con studenti e giuristi nell'ambito del progetto We Legality, il presidente dell'Anm aveva dichiarato nel corso della sua lectio magistrali che il problema della giustizia italiana sarebbe le lungaggini processuali, i troppi processi che vanno oltre il giudizio di primo grado e arrivano in Corte di Cassazione. Una lunghezza esagerata causata anche dal lavoro degli avvocati, che con i ricorsi stanno creando un "ingorgo giudiziario" nella speranza di strappare un accordo al ribasso, sottolineando come sia inutile riconvocare a dibattito testimoni già sentiti dai carabinieri nel corso delle indagini.
E così, la giunta dell'Unione delle Camere penali si è chiesta "a che serve esaminare i testimoni nel contraddittorio delle parti? Non bastano i verbali fatti nel chiuso di una caserma? A che serve, dunque, fare lunghi dibattimenti, quando invece il processo potrebbe essere un affare sbrigativo, basato su fonti sottratte al controllo delle parti ed all’inutile controesame degli avvocati?".
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