"Non c'è mafia senza intimidazione", dice Giovanni Fiandaca
“Dimostrare l’associazione per delinquere di stampo mafioso è molto più complicato dal punto di vista probatorio, soprattutto quando si tratta di associazioni criminali di nuova costituzione”. Giovanni Fiandaca, professore di Diritto penale all’Università di Palermo, intervistato da Giulia Merlo su Il Dubbio, spiega così la sentenza d’Appello sul caso “mafia di Ostia”.
“Il problema è di natura prettamente tecnica, di qualificazione giuridica del reato. Perché sia riconosciuto il reato […] è necessario il requisito del metodo mafioso, ovvero che l’associazione si sia avvalsa di una forza di intimidazione che provoca nell’ambiente circostante la condizione di assoggettamento e omertà. […] Proprio questo è difficile da dimostrare nel caso di nuove cosche, perché il reato è tagliato sulle mafie classiche radicate nel territorio. Il problema, però, non è nuovo per le Corti: ciò che è successo nell’inchiesta di Ostia si è verificato anche nel caso delle formazioni ‘ndranghetiste in Liguria, Piemonte e Lombardia”.
Fiandaca nega che la sentenza si possa leggere come una squalificazione del fenomeno criminale di Ostia. “Si tratta di un errore, la sentenza non contiene alcun giudizio soggettivo di valore, sulla maggiore o minore gravità [ma] attiene unicamente all’esigenza probatoria. Non esiste, in linea di principio, alcuna discrezionalità per il giudice ma solo una valutazione delle prove, che portano a qualificare la condotta in un senso o nell’altro”. Per Fiandaca non c’è evidenza, dunque, nemmeno di un vincolo di causa effetto sull’inchiesta di Mafia Capitale. “Si tratta di giudizi separati, anche se il problema giuridico ha numerose affinità. L’unica cosa che si può dedurre è che la Corte d’Appello di Roma ha la tendenza a utilizzare un metro di giudizio molto rigoroso per qualificare il reato di associazione per delinquere di stampo mafioso, e che questo potrebbe essere applicato anche all’inchiesta di Mafia Capitale”.
“Esiste, comunque, un problema di qualificazione giuridica. In questo senso ritengo, e con me molti professori di diritto penale, che si possa pensare di riformare l’articolo 416bis, connotandolo in maniera più moderna. […] Si potrebbe ragionare se depurar[lo] di quei tradizionali elementi sociologici e ambientali tipici delle mafie del meridione. […] In questo modo, sarebbe più facile incanalare in questo particolare reato le nuove derivazioni delle mafie classiche”.
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