Il caso De Benedetti e la fine del metodo Repubblica (forse)
Sobrio il titolo, bilanciato il sommario: “Sentenza per l’amianto all’Olivetti: tutti condannati – Ai fratelli De Benedetti cinque anni e due mesi per lesioni colpose e omicidio colposo. L’Ingegnere: ‘Condannato per reati che non ho commesso’”. Titoli e sommari più o meno simili sugli altri siti informativi, lunedì. Ma le parole citate significano di più, perché sono il titolo e sommario del sito di Repubblica, di proprietà degli illustri condannati (in primo grado: vale sempre la pena specificarlo). Carlo e Franco De Benedetti – tra gli anni 70 e 90 proprietari e ai vertici dell’azienda – più altri imputati tra cui Corrado Passera, per un periodo amministratore delegato, sono stati riconosciuti colpevoli di lesioni colpose e omicidio colposo nei riguardi di alcuni operai dell’Olivetti ammalatisi, così ha stabilito il giudice Elena Stoppini, per l’uso di amianto nell’azienda. Deontologicamente ineccepibile anche il modo in cui vengono riportare le parole di Carlo De Benedetti: “Sono stupito e molto amareggiato per la decisione del tribunale di Ivrea di accogliere le richieste manifestamente infondate dell’accusa”.
Le sentenze si rispettano e anche si commentano. Ma si possono commentare, in questi come in altri casi, pure i capi d’accusa e l’impianto processuale. E dubitare della responsabilità diretta di presidenti e alti amministratori in un caso come questo. Ne abbiamo visti a frotte, di processi e condanne in primo grado poi svaporati. Però, in base al famoso “metodo Repubblica” per la cronaca giudiziaria, ci saremmo aspettati lunedì, e ci aspetteremmo per giorni interi, titoli di fuoco, editoriali intinti nell’esecrazione, feroci applausi alla giustizia finalmente compiuta (sempre in primo grado: ricordarlo). Ovvero ci si aspetterebbe ciò che il quotidiano di Casa De Benedetti, e poi tanti suoi epigoni minori, hanno fatto per decenni per ogni caso di cronaca sul quale poter spalmare la propria indignazione un tanto al chilo, soprattutto ogni volta che di mezzo ci fosse un nemico politico, o anche magari editoriale. Siamo molto soddisfatti che ora la condanna (in primo grado: quante volte a Rep. e dintorni si sono dimenticati di specificarlo?) susciti reazioni più sobrie e misurate, soprattutto a Largo Fochetti. Perché sarebbe meglio, e sarebbe ora, che il “metodo Repubblica” andasse in pensione per tutti, e una volta per tutte. E possibilmente non a intermittenza, come è capitato per l’ultimo “scooppone” dell’Espresso, settimanale della ditta, che a lungo ci raccontò le “grandi evasioni e elusioni fiscali”, “moralmente deplorevoli”, dei Panama Papers. Tranne poi trovare nelle liste di proscrizione da pubblicare il nome di Rodolfo De Benedetti. Cosicché, a poco a poco, il “più grande scandalo finanziario di tutti tempi” s’è sgonfiato. Questioni di metodo.
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