La strage silenziosa dei down
In Islanda non ne nascono più. La società dell’inclusione non include tutti
L’Islanda si avvia a diventare il primo paese europeo senza nascite di persone con sindrome di Down, scriveva ieri il Corriere della Sera in un lungo articolo che riprendeva un allarme già lanciato dal Foglio qualche mese fa: grazie ai nuovi screening prenatali, sempre più accurati e meno invasivi, le donne in gravidanza possono sapere con precisione se il figlio che portano in grembo è affetto da trisomia 21. “Aiutate” da un apposito supporto psicologico presente negli ospedali islandesi, quasi tutte ormai scelgono di abortire. Inevitabile, se è vero, come riporta il Corriere, che il tipo di aiuto dato è quello di far pensare “all’aborto come a qualcosa che ponga fine a quelle che potrebbero essere grandi difficoltà, prevenendo sofferenza per il bambino e la famiglia”. Difesi sui giornali quando vengono bullizzati a scuola, usati in qualche pubblicità strappalacrime, ai down non resta invece che la buona volontà delle associazioni che tutelano i lori diritti quando si tratta di aborti eugenetici, la cui continua pratica sta facendo vincere all’Islanda la poco onorevole gara con la Danimarca a diventare il primo paese “Down free”. Casi analoghi sono sempre più frequenti anche in altri paesi europei (in Germania, denunciava lo Spiegel a marzo, nove gravidanze su dieci vengono terminate in presenza di quella anomalia cromosomica), e c’è chi parla di imminente “estinzione” dei down. Tragica ironia, per una società che quotidianamente fa lezioni di inclusione e dice di commuoversi per la sorte dei piccoli e degli indifesi, ma non trova il tempo di spendersi anche per il diritto alla vita di questi bambini.