Ci riprovano con l'utero in affitto
In discussione alla Consulta il ricorso per “discriminazione”. Attenti ai rischi
Martedì alla Corte costituzionale è iniziato l’esame del ricorso presentato dalla Corte d’appello milanese che chiede di dichiarare illegittima la proibizione dell’utero in affitto. In passato, quando stabilì l’incostituzionalità della fecondazione artificiale eterologa, la Consulta aveva ribadito il valore della proibizione della pratica dell’utero in affitto, sostenendo che la fecondazione eterologa va “tenuta distinta da ulteriori e diverse metodiche quali la cosiddetta surrogazione di maternità, espressamente vietata”. Tale proibizione, nella stessa sentenza, veniva confermata poiché non era “in nessun modo e in nessun punto inclusa”. Su che cosa dunque si basa il ricorso della Corte milanese? La tesi di fondo è che ci sarebbe una “discriminazione” tra donne che sono in grado di partorire e donne infertili, con una curiosa attribuzione alle differenze biologiche di un carattere non solo penalizzante soggettivamente, ma tale da configurare una discriminazione da rimuovere. Dal punto di vista giurisprudenziale il ricorso cita la sentenza di primo grado della Corte europea dei diritti dell’uomo, che però è stata cassata in modo definitivo nel successivo livello di giudizio. Le possibilità di successo della richiesta milanese sono piuttosto scarse, ma non va trascurata la tendenza della magistratura a sostituirsi o a contraddire le decisioni del Parlamento, soprattutto quando vengono messi in discussione articoli di legge in base a una presunzione di incostituzionalità basata sul principio, in sé sacrosanto, di eguaglianza dei cittadini, che viene estesa al campo biologico trasformando le differenze naturali in discriminazioni. E’ qui che si annida il rischio di una nuova manomissione della legge sulla fecondazione artificiale.