L'inutile ingerenza dello stato sul fine vita
La prossima legislatura dovrà dare risposte al drammatico crollo demografico
Il Senato ha approvato in via definitiva e con una larga maggioranza la legge sul fine vita, che quindi entrerà in vigore appena sarà promulgata dal capo dello stato e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale. E’ una legge che realizza il dettato costituzionale sul diritto a decidere sulla cura, ma contiene una falsità: dare da bere a un malato, anche terminale, non è né può essere una terapia. L’ha ribadito anche il Papa, di recente. Nessuna maggioranza parlamentare può capovolgere la verità.
Il modo in cui si è svolta la discussione, arrivando a una stretta finale in cui qualsiasi emendamento avrebbe finito con l’affossarla, ha impedito di correggere questo errore. In questo modo si rasenta il confine dell’eutanasia passiva e forse lo si supera. Al di là delle convinzioni sulle questioni più controverse, resta il fatto che la volontà di cancellare quell’area grigia che sta tra la pietà e la cura, tra l’accanimento terapeutico e la speranza, che è naturale e ineliminabile, ha prevalso in nome di un principio di ingerenza dello stato che ha un sapore giacobino. Spetterà ora alla sensibilità delle persone, delle famiglie, dei medici, trovare il modo di dare un’applicazione che non leda il principio fondamentale di intangibilità della vita. Questa legislatura ha trovato soluzioni, seppure discutibili, per “la fine della vita”. C’è da sperare che la prossima sia in grado di dare risposte al tema dell’“inizio della vita”, della natalità che continua a decrescere, delle condizioni di solitudine in cui sono lasciate le coppie che si pongono l’obiettivo di mettere su famiglia. E’ nell’interesse di tutti. Si tratta di una questione non più eludibile.