I rischi della sentenza della Consulta sull'utero in affitto
La Corte Costituzionale ribadisce che la maternità surrogata è “un disvalore” e affida al giudice ordinario la decisione nel merito. E non sarà un'impresa facile
La Corte costituzionale, a quanto pare, ha respinto la richiesta della Corte d’appello milanese di dichiarare illegittima la norma che proibisce l’utero in affitto. Questa sentenza dovrebbe permettere ai comuni di non registrare le nascite ottenute con questo mezzo, rinviando alla decisione del giudice ordinario che dovrà tener conto di una sentenza in cui si ribadisce che la maternità surrogata è un “disvalore”.
Usiamo il condizionale perché la sentenza, affidata alla penna di Giuliano Amato, forse per l’esigenza di dare spazio all’esibizione di cultura giuridica, è tutt’altro che chiara. “L’esigenza di verità” sulla filiazione, vi si legge, non prevale “in modo automatico sull’interesse del minore”. Nella valutazione bisogna tener conto, nel caso di maternità surrogata, “dell’elevato grado di disvalore che il nostro ordinamento riconnette alla surrogazione di maternità”. Il giudizio sulla pratica dell’utero in affitto resta fermamente negativo, che “offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”. Tuttavia, nei casi specifici, si tratta di decidere in base a tre criteri, la “durata del rapporto instauratosi col minore”, le “modalità del concepimento e della gestazione” e infine la “presenza di strumenti legali che consentano la costituzione di un legame giuridico con il genitore contestato”. Se a qualcuno sembra chiaro, beato lui. Il bambino nato in questo modo potrebbe essere adottato dal “committente” solo in casi particolari, per tutelare il bimbo, ma chi ha violato la legge non otterrebbe la genitorialità piena. L’obiettivo enunciato dalla Corte è un “bilanciamento” tra la verità della filiazione e l’interesse del minore. Questa è l’indicazione offerta dalla Consulta alle magistrature che saranno chiamate a giudicare nel merito. Non è difficile prevedere che le interpretazioni di una norma così complessa saranno tutt’altro che lineari.