Foto tratta dalla pagina Facebook Je soutiens Vincent

Vincent Lambert deve morire

Redazione

La Cassazione francese mette la parola fine. Ignorato perfino l’Onu

La Corte di cassazione francese ha posto la parola fine, a meno di sorprese che al momento non s’intravedono o di miracoli, come invocano i genitori, alla vicenda di Vincent Lambert, il quarantaduenne francese che dal 2008 in seguito a un incidente vive in uno stato di coscienza minima. E’ tetraplegico, respira autonomamente e si alimenta. Almeno fino a quando – ed è questione di giorni – l’ospedale di Reims, forte della sentenza di ieri pomeriggio, sospenderà il sostentamento vitale. La moglie di Lambert ha vinto la battaglia legale che va avanti da un decennio, fin da quando chiese per la prima volta di “lasciare andare” (si dice così) il marito paralizzato. La magistratura francese si è pronunciata più volte, fino a quando lo scorso 20 maggio la Corte d’appello di Parigi aveva ordinato di nutrire e idratare nuovamente Vincent, anche perché nel frattempo perfino l’Onu – non proprio una congrega di cattolici “integralisti”, come vengono definiti i fedeli che si sono battuti per mantenere in vita un uomo che non è in coma, non è in fin di vita e reagisce agli stimoli – ha chiesto di aspettare che il caso sia approfondito. Niente da fare. La Cassazione ha bocciato la decisione della Corte d’appello, definendola “illegittima”. E, stabilendo che il caso non dovrà tornare alla giustizia amministrativa, ha fatto in modo che la sentenza sia definitiva e inappellabile.  Non è tanto la sconfitta dei genitori di Lambert, bollati da certa stampa benpensante come degli anziani lefebvriani, cioè di due cattolici estremisti e quindi mossi dall’ideologia. Ma è anche la sconfitta – ed è quello che poco si sottolinea – delle centinaia di medici che hanno sottoscritto un appello contro l’interruzione di idratazione e alimentazione, non ravvisando i presupposti per farlo. Posizione scomoda, troppo controcorrente in un paese dove il suo presidente, chiamato in causa, ha detto di non voler intervenire essendovi  sul tema “posizioni non univoche”.   

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