Quel femminicidio che non allarma
È la strage delle bimbe indiane in pancia con l’aborto selettivo
“Feticidio femminile”, denuncia la Deutsche Welle. È un’orrida e algida espressione che indica la distruzione dei feti femminili. Avviene in India a causa dell’aborto selettivo. Il riferimento è ai bimbi nati in 132 villaggi negli ultimi tre mesi e nessuno di loro era una bambina. Il governo di Uttarkashi, a nord di Nuova Delhi, cerca di fare luce sulla “scomparsa delle bambine” dal suo territorio. “Non può essere solo una coincidenza. Ciò indica chiaramente che c’è in corso una strage dei feti femminili nel distretto. Il governo e l’amministrazione non stanno facendo nulla”, è la denuncia degli assistenti sociali dell’Asha (Accredited social health activist) all’agenzia di stampa Ani.
Secondo quanto riporta il Population Research Institute, dal 1990 a oggi sarebbero state abortite 16 milioni di bambine, esattamente 15,8 milioni. Un “genocidio di genere”. Sempre secondo i dati riportati, dal 2014 a oggi ogni anno ne sarebbero state abortite 550 mila. L’aborto selettivo ha impedito la nascita del 4,1 per cento delle bambine. In occidente, l’aborto è considerato strumento di progresso ed emancipazione delle donne. “Diritti riproduttivi”, si chiamano in America. In Cina – con la pianificazione demografica e la legge sul figlio unico – e in India, l’aborto è diventato strumento di regresso umano, di discriminazione di genere, di sopruso genetico, di femminicidio che non allarma, come invece dovrebbe, i nostri benpensanti. Nel 1985 l’americana Mary Anne Warren fu la prima a intravedere i rischi dello sterminio volontario di genere nel saggio “Gendercide: The Implications of Sex Selection”. Oggi l’aborto selettivo sta svuotando l’Asia delle sue bambine. Un fenomeno così grave e dalle proporzioni così epidemiche da minacciare l’equilibrio demografico mondiale (vedi in Cina). E risale a decine di anni fa la denuncia di Amartya Sen, premio Nobel indiano, su questa piaga vergognosa. Ma nessuno lo ha preso sul serio.