Non basta sgozzare per essere condannati
A Mosul, in Iraq, i miliziani al soldo del cosiddetto califfo Abu Bakr al Baghdadi hanno passato un pomeriggio a demolire le tombe nel locale cimitero cristiano. Giù tutte le croci, sventrate le lapidi con picconi e piccozze. Nel frattempo, il ramo libico dello Stato islamico procedeva allo sgozzamento di dodici etiopi, miscredenti in quanto cristiani copti, con il sangue a colorare le acque del Mediterraneo – effetto speciale vecchio di quasi sessant’anni, già sperimentato nei “Dieci comandamenti”, il kolossal con Charlton Heston e Yul Brynner. Altri sedici venivano freddati con un colpo alla nuca. L’esecuzione come epilogo di un filmato di ventinove minuti in cui si ricostruiva per sommi capi la storia dei rapporti tra islam e cristianesimo, con tanto di riferimenti naïf alle crociate, foto di Benedetto XVI, chiese di Ninive devastate dai bulldozer jihadisti. Qualche giorno prima, la notizia dei dodici migranti cristiani gettati nelle acque del Mediterraneo da quattordici compagni di traversata musulmani. “Qui si prega solo Allah”, avrebbe detto uno dei carnefici, secondo il racconto dei sopravvissuti (tutti concordi nell’avallare la matrice religiosa dell’accaduto che tante pruderie ha provocato ai sonnacchiosi irenisti nostrani).
Non è d’accordo Avvenire, il quotidiano della Conferenza episcopale italiana (Cei) secondo cui, molto semplicemente, “su un barcone è stata rissa e un gruppo di poveracci ha fatto fuori un altro gruppo di poveracci” e non concorda neppure il loquace Nunzio Galantino, vescovo della periferia chiamato a Roma per fare da segretario generale alla Cei disorientata dopo il cambio di pontificato. Getta copiose secchiate d’acqua sul fuoco, il monsignore che ci tiene a far sapere che lui non si identifica “con i visi inespressivi di chi recita il rosario fuori dalle cliniche che praticano l’interruzione della gravidanza”. Intervistato dalla Stampa, spiega che “bisogna innanzitutto capire bene lo svolgimento dei fatti”, anche perché “quando ci sono persone stipate per giorni nei barconi, in condizioni così precarie, ogni minima lite o risentimento può far scatenare atteggiamenti imprevedibili”. E poi si deve essere “prudenti prima di iscrivere subito il fatto terribile che è accaduto nell’ambito di una guerra di religione”. Insomma, guai a dire che migliaia di uomini e donne sono stati cacciati di casa perché cristiani (la nera “N” di nazareno è ancora impressa sui muri delle abitazioni della piana di Ninive), così come è meglio tacere sul fatto che i decapitati sul litorale di Sirte erano cristiani copti egiziani.
[**Video_box_2**]La popolosa chiesa di Alessandria, che da secoli sperimenta sulla propria pelle la violenza dell’islam politico, li ha già proclamati santi e martiri, senza badare troppo alla diplomazia e mettendo da parte la chimera del dialogo a tutti i costi anche con chi di dialogare non ha la minima intenzione. Scrive il quotidiano dei vescovi che “ci basterà sentire anche solo una voce di imam che in nome di Dio parla chiaro su questi omicidi per considerare che la vera notizia è ancora la povera e decisiva solidarietà dei poveri, la solidarietà coi più poveri”. Finora a essere udita è stata solo la voce del capo degli Affari religiosi turco, quel Mehmet Görmez che veniva esaltato nel fiacco occidente come un illuminato leader rappresentante della folta schiera dei moderati. Ieri ha bollato come “immorali” le parole del Papa sul genocidio armeno.
Editoriali
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l'anticipazione