Dialogare sì, annientarsi no
Era passata inosservata e sotto silenzio la proposta del rettore della Grande moschea di Parigi, Dalil Boubakeur, di usare le chiese vuote (già sconsacrate o più mestamente senza fedeli che ci mettano piede) per adibirle al culto islamico. L’idea, dopotutto, mirava a far risparmiare soldi all’amministrazione pubblica: anziché radere al suolo l’inutile e inutilizzata chiesa, perché non farne una bella moschea? D’altronde, il precedente c’è già: da oltre trent’anni, la cappella del Buon Pastore a Clermont-Ferrand è stata data in gestione gratuitamente alla locale comunità musulmana: “E’ lo stesso Dio”, ha spiegato il rettore. Proprio Boubakeur, qualche settimana fa, aveva anche chiesto al governo Valls di studiare il modo per raddoppiare il numero delle moschee francesi, visto che “duemila sono troppo poche”.
Ma nel pluridecennale torpore dell’episcopato francese, che arriva anche a giustificare l’imbrattamento del Sacro Cuore al punto da dire che le bestemmie scritte con vernice rossa sulla facciata non rappresentano un attacco contro la religione, qualcuno s’è svegliato: “Sono assolutamente contrario all’ipotesi che le chiese siano vendute ai musulmani e convertite in moschee. Capisco il bisogno di contare su luoghi di culto per pregare, ma la proposta di Boubakeur è una risposta sbagliata”, ha detto infatti il vescovo di Pontoise, mons. Stanislas Lalanne, che è anche membro del consiglio permanente della locale conferenza episcopale. “Le chiese sono luoghi sacri che, anche se non accolgono ogni giorno i credenti, non possono essere utilizzati per un altro scopo che non sia l’espressione della fede cristiana”, ha aggiunto il presule, osservando che “le chiese sono utilizzate dalle comunità cristiane per celebrare i matrimoni, i battesimi e i funerali. Non dobbiamo giocare con i simboli. Quei luoghi sono la memoria di generazioni e generazioni che vi si sono recate a pregare”. Il dialogo interreligioso, se genuino, è cosa buona e giusta – e il vescovo di Pontoise è uno dei più attivi su tale fronte, basta recuperare decine di suoi interventi in materia – a patto però di non nascondere i segni più visibili della propria storia e tradizione bimillenaria.
Editoriali
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