Papa Francesco (foto LaPresse)

L'anno del Papa buono

Redazione
Tra Natale e Santo Stefano aveva speso parole sul terrorismo e sui perseguitati “in nome della fede”, “nostri martiri d’oggi”. Il dilemma del 2016: solo pace, o sì alla guerra per salvare i cristiani?

"Fino a quando la malvagità umana seminerà sulla terra violenza e odio, provocando vittime innocenti?”, s’è chiesto ieri il Papa nell’omelia della solennità di Maria Madre di Dio, che poi è anche la Giornata mondiale della pace. Francesco ha parlato delle “moltitudini di uomini, donne e bambini che fuggono dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione, disposti a rischiare la vita pur di vedere rispettati i loro diritti fondamentali”.

 

Tra Natale e Santo Stefano aveva speso parole sul terrorismo e sui perseguitati “in nome della fede”, “nostri martiri d’oggi”. Lo definisce “un fiume di miseria” che però  “non può nulla contro l’oceano di misericordia che inonda il nostro mondo”. Il punto è trovare chi oggi, laddove i cristiani sono sgozzati o (quando va bene) cacciati di casa, sia così misericordioso da dar loro aiuto. C’è ad esempio una diversità di vedute tra le gerarchie vaticane e i vertici episcopali orientali: se a Roma non si vuol sentir parlare, o solo con estrema prudenza, di stivali sul terreno, di guerre giuste e di riconquista delle regioni perdute, tra Mosul e Aleppo la vis bellica è ormai la posizione preponderante. Perfino il patriarca di Baghdad, Raphaël I Sako, giudica inevitabile una spedizione di terra per eliminare il Califfato. E’ questa la matassa che oltretevere andrà sbrogliata nel 2016: fino a che punto la Santa Sede potrà anche solo evitare di menzionare termini quali “responsabilità di proteggere” o “intervento umanitario”, lasciando che a invocare soluzioni muscolari siano i presuli già in prima linea nell’affrontare il fondamentalismo islamico? Problema di non facile soluzione neppure per un diplomatico avveduto come il segretario di stato Pietro Parolin.

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