Socci riconosce il Papa e gli scrive: “Segua meno Twitter più la Madonna”
Antonio Socci scrive al Papa. Una lunga lettera in forma di libro, “La profezia finale. Lettera a Papa Francesco sulla chiesa in tempo di guerra” (Rizzoli), in cui gli chiede di comportarsi “da padre”, di badare meno a Twitter, al numero di follower, agli adulatori mediatici – che scorazzano a bizzeffe dalle parti di Santa Marta, pronti a inchinarsi à la Leonardo DiCaprio, con bacio dell’anello incorporato – in prima fila nell’esaltarne gesta e sospiri, e di ricordarsi quel che hanno profetizzato la Madonna, don Giussani, don Tantardini, la beata Emmerich e pure don Bosco. E cioè che le trombe dell’Apocalisse stanno suonando come mai avevano fatto finora, che la fine del mondo è imminente e che i demoni danzano a ritmo di tangueri da balera sul cupolone petrino (Leone XIII, sul finire dell’Ottocento, li aveva visti durante una messa, rimanendo terrorizzato). Prima constatazione che va annotata e registrata: dopo tre anni di infinite disquisizioni, Socci riconosce che Bergoglio – pur chiamato ogni tanto ‘padre’ – è Papa legittimo e dunque regolarmente eletto, nonostante le schede incollate e il numero delle votazioni più o meno non rispondenti a quel che prescrivono le norme canoniche (anche se nessun canonista, neppure i più restii a dar la preferenza al gesuita argentino, alzò la mano nella Sistina per dire che insomma, quello scrutinio era da cestinare come mai avvenuto. Ma questa è un’altra storia, già sciorinata in ogni sua proposizione).
Socci è un cattolico onesto (più di tanti altri giulivi filopapisti da tastiera, che poi sul Papa ne dicono di ogni), e la prova la si ha quando rivela la scarsa simpatia che nutre per il Pontefice regnante: “Non le dirò che sono uno dei suoi sfegatati estimatori perché mentirei”, però da “figlio della chiesa” lo avverte che “la situazione per la chiesa è spaventosa”. Se oggi “tutti gli avversari di sempre del cattolicesimo la adulano come colui che omologa la chiesa al mondo moderno, non ci sarà qualcosa che non va nel suo messaggio?”. Da qui, la domanda: “Se lo è mai chiesto?”.
Socci si trincera dietro i magisteri di Pio XII, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. Cita Fatima e tutti i misteri relativi alle apparizioni dell’ultimo secolo e mezzo e scrive che “sottrarre la chiesa alla sua missione di resistenza (e di testimonianza) di fronte alla menzogna e al male, significa navigare nel ‘banal grande’ e lasciar dominare senza limiti e impedimenti il ‘mistero d’iniquità’”. Qui però il tambureggiante j’accuse a padre Bergoglio si inceppa: se c’è un Papa che negli ultimi decenni parla insistentemente del diavolo e dell’Inferno, questi è proprio Francesco. Certo, magari lo fa tra una telefonata all’altra con il vate laico e laicista Eugenio Scalfari che crede solo in Cartesio nonostante andasse a confessarsi due sabati al mese, con il quale disserta di cardinali da bastonare e picchia forte sui vescovoni cosiddetti retrogradi, conservatori “pizzofili” che non capiscono dove va il mondo e che si rifiutano di aprire, spalancare porte e portoni a chiunque in nome della misericordia che tutto sana e tutto permette.
[**Video_box_2**]Ma del Male parla, anche se non lo chiama mysterium iniquitatis. Almeno questa – anche solo per carità cristiana – bisognerebbe riconoscergliela, a padre Bergoglio.
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