Il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana

Immigrati e frontiere, il cardinale Bagnasco non è il primate anglicano Welby

Redazione
Mentre il capo della chiesa anglicana parla di "paure legittime" per l'ondata migratoria, il numero uno della Cei biasima "gli slogan irreali"

Il cardinale Angelo Bagnasco non è Justin Welby, l'arcivescovo di Canterbury e capo della chiesa anglicana che venerdì scorso in un'intervista ha spiegato che temere l'enorme ondata migratoria non è un atteggiamento razzista. "E' oltraggioso" solo pensarlo, ha detto, ricordando la sua esperienza da parroco in piccoli centri dove questi problemi sono maggiormente avvertiti. Si pensa al futuro dei posti di lavoro, alle proprie case, al sistema sanitario. Domande "legittime", chiosava. Bagnasco invece parla di "slogan irreali" quando si domanda se l'Europa, culla della civiltà e dei diritti, possa "erigere muri e scavare fossati". Il presidente della Conferenza episcopale italiana, aprendo i lavori del Consiglio permanente riunito a Genova, ha indugiato sui "volti sfatti e terrorizzati dei bambini e dei vecchi", gente che "si sottopone a indicibili fatiche, stenti, pericoli" pur di raggiungere il vecchio continente, la salvezza. Insiste Bagnasco, ricalcando la linea fatta propria da tempo dal Papa, sulla necessità di sviluppare una "vera integrazione, attraverso "processi che richiedono onestà, tempi rapidi, regole, buona volontà e fiducia da parte di tutti".

 

"La vigilanza intelligente è doverosa", ha sottolineato, osservando come "le nostre Forze dell’Ordine ne hanno dato prova anche in questi giorni", "la strategia di integrazione non è facile, ma la Casa europea e le stesse Nazioni Unite stanno affrontando tale cataclisma umanitario con lungimiranza ed efficacia?", s'è chiesto. "Nessuno – ha chiosato – può negare che il nostro Paese è sempre stato in prima linea, non solo perché è la “porta d’Europa”, ma soprattutto perché ha mostrato da subito generosità e prontezza, pur dentro a situazioni talmente inedite che nessuna Nazione sembra essere capace di affrontare" senza, appunto, "rifugiarsi nei soliti slogan irreali".