La sintesi pericolosa di Papa Francesco
E’ un discorso ambizioso e importante quello che Papa Francesco ha tenuto di fronte ai leader europei venuti a Roma per consegnargli il Premio Carlo Magno, che ogni anno si assegna a nome della città tedesca di Aquisgrana. Bergoglio ha denunciato “la rassegnazione e la stanchezza” che non appartengono all’anima dell’Europa, ha parlato con ragione e con forza di “un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale”, mettendo in luce la crisi dell’umanesimo che l’ha resa grande, crisi demografica oltre che culturale. Poi però Francesco, oltre a infierire ancora sul profitto (“un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti” cui preferire “un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra”), ha introdotto qualcosa di nuovo nel dibattito, senza precedenti in bocca a un pontefice: “L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità multiculturale”. Questo non è vero. L’Europa è stata ed è liberale, atea, cristiana, ebraica, avendo saputo costruire una sintesi unica nella storia della civiltà dopo essere rinata dalle ceneri della Shoah. Il multiculturalismo è una ideologia e una prassi del tutto nuova che risale agli anni Settanta, assente persino dal vocabolario e dall’immaginario politico degli Schuman e degli Adenauer invocati da Bergoglio, una prassi ripudiata anche da quei leader che gli hanno consegnato il Premio Carlo Magno. Papa Francesco parla della necessità di “integrare in sintesi sempre nuove”. Qual è questa nuova sintesi? Oggi un cristianesimo che appare spento, sempre più marginale, sempre più ininfluente, nei numeri e nella presenza sulla scena pubblica, si trova di fronte alla marea demografica islamica e alla sfida teologica e identitaria che essa sta portando all’Europa.
Una sintesi fra l’Europa e l’islam, inteso come la umma da un miliardo di persone e non come singoli individui come accade in America, non è possibile. Alla base dei diritti umani giustamente evocati da Francesco, delle conquiste dell’Illuminismo, della stessa idea moderna di coscienza, sta la scelta cristiana e cattolica in favore del diritto di natura e della legge di ragione. Il multiculturalismo è un’altra cosa. E’ l’ibridazione fra le culture, è il meticciato militante, è la banlieue, è la moschea che sorge sulle rovine di una chiesa, è il trapasso identitario, è il ghetto comunitarista, è una ricetta che tanto male ha fatto a quella immigrazione che Francesco nel suo discorso ha chiesto giustamente di governare e di non respingere con i reticolati. E’ questo che Ayaan Hirsi Ali e altri dissidenti dell’islam hanno chiesto all’Europa: accogliete, ma poi assimilate. Il multiculturalismo non è la strada per la sintesi chiesta da Bergoglio. E’ la via del disastro.
E’ un discorso ambizioso e importante quello che Papa Francesco ha tenuto di fronte ai leader europei venuti a Roma per consegnargli il Premio Carlo Magno, che ogni anno si assegna a nome della città tedesca di Aquisgrana. Bergoglio ha denunciato “la rassegnazione e la stanchezza” che non appartengono all’anima dell’Europa, ha parlato con ragione e con forza di “un’Europa stanca e invecchiata, non fertile e vitale”, mettendo in luce la crisi dell’umanesimo che l’ha resa grande, crisi demografica oltre che culturale. Poi però Francesco, oltre a infierire ancora sul profitto (“un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti” cui preferire “un’economia sociale che garantisce l’accesso alla terra”), ha introdotto qualcosa di nuovo nel dibattito, senza precedenti dalla bocca di un pontefice: “L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità multiculturale”.
Questo non è vero. L’Europa è stata ed è liberale, atea, cristiana, ebraica, avendo saputo costruire una sintesi unica nella storia della civiltà dopo essere rinata dalle ceneri della Shoah. Il multiculturalismo è una ideologia e una prassi del tutto nuova che risale agli anni Settanta, assente persino dal vocabolario e dall’immaginario politico degli Schuman e degli Adenauer invocati da Bergoglio, una prassi ripudiata anche da quei leader che gli hanno consegnato il Premio Carlo Magno. Papa Francesco parla della necessità di “integrare in sintesi sempre nuove”. Qual è questa nuova sintesi? Oggi un cristianesimo che appare spento, sempre più marginale, sempre più ininfluente, nei numeri e nella presenza sulla scena pubblica, si trova di fronte alla marea demografica islamica e alla sfida teologica e identitaria che essa sta portando all’Europa.
Una sintesi fra l’Europa e l’islam, inteso come la umma da un miliardo di persone e non come singoli individui come accade in America, non è possibile. Alla base dei diritti umani giustamente evocati da Francesco, delle conquiste dell’Illuminismo, della stessa idea moderna di coscienza, sta la scelta cristiana e cattolica in favore del diritto di natura e della legge di ragione. Il multiculturalismo è un’altra cosa. E’ l’ibridazione fra le culture, è il meticciato militante, è la banlieu, è la moschea che sorge sulle rovine di una chiesa, è il trapasso identitario, è il ghetto comunitarista, è una ricetta che tanto male ha fatto a quella immigrazione che Francesco nel suo bel discorso ha chiesto giustamente di governare e di non respingere con i reticolati. E’ questo che Ayaan Hirsi Ali e altri dissidenti dell’islam hanno chiesto all’Europa: accogliete, ma poi assimilate. Il multiculturalismo non è la strada per la sintesi chiesta da Bergoglio. E’ la via del disastro.
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