Unioni civili, Galantino e la Cei fuori tempo massimo
Nunzio Galantino, numero due della Conferenza episcopale italiana, tuona come mai aveva fatto prima d’ora contro le unioni civili. Detta comunicati alle agenzie, fa sapere che la fiducia posta dal governo al ddl Cirinnà raprpesenta “una sconfitta per tutti” e che “c’è la necessità di politiche che mettano al centro l’importanza della famiglia, fatta di madre, padre e figli”. Pare quasi di sentire il cardinale Pietro Parolin, che neppure un anno fa parlava di “sconfitta per l’umanità” dopo che in Irlanda era passato il referendum sui matrimoni gay. Dopo mesi in cui la Conferenza episcopale italiana ha preferito non scendere nell’agone, ammainando bandiere e striscioni, disattendendo i raduni di piazza e sfoggiando un inedito (a queste latitudini) soft power, Galantino insorge ora che non c’è più nulla da fare e il testo Cirinnà diverrà legge dello stato. Viene da domandarsi allora quale fosse la strategia della Cei, che aveva scelto di dialogare con il governo, di trattare a oltranza per cercare di portare a casa qualcosa e di mantenersi ben alla larga dal Family Day di gennaio.
Se la strada scelta era quella del silenzio e del distacco, perché usare toni apocalittici oggi, quando quasi tutti i punti fermi (o linee rosse) più volti rimarcati nell’ultimo anno dal cardinale Angelo Bagnasco, numero uno dei vescovi italiani, sono stati abbondantemente superati? La risposta sta forse nel disorientamento della Cei, ancora alla ricerca di una via maestra che sappia conciliare le chiare indicazioni del Papa (“no ai vescovi pilota”) date nel corso del Convegno ecclesiale di Firenze dello scorso novembre con il tradizionale spirito interventista che ha caratterizzato la chiesa italiana nell’ultimo trentennio.
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