Il modello Libano per l'Europa, vade retro
Al di là dei paragoni tra fondamentalismo islamico e chiusura del Vangelo di Matteo che tanti capelli ha fatto rizzare in curia dopo aver completato la lettura dell’ampia intervista apparsa sul periodico francese la Croix, è sulla convivenza tra cristiani e musulmani che il Papa ha proposto un modello il cui fallimento è codificato da ogni manuale di geopolitica: il Libano. “La coesistenza tra cristiani e musulmani è possibile. In Centrafrica, prima della guerra, cristiani e musulmani vivevano insieme e devono reimparare a farlo oggi. Il Libano mostra che ciò è possibile”.
Francesco porta a esempio una realtà dove da due anni – proprio in virtù della complessa composizione etnico-religiosa della società – non si riesce a eleggere il presidente della Repubblica, carica più che altro notarile e di rappresentanza. Ogni trattativa è resa vana proprio dai veti reciproci tra i partiti confessionali, come denuncia da tempo il patriarca di Antiochia dei maroniti, il cardinale Béchara Raï, che puntava il dito in primo luogo sul conflitto tra sciiti e sunniti, ma anche sui cristiani di Michel Aoun. Insomma, una sorta di Bosnia-Erzegovina mediorientale, con le cariche istituzionali spartite a seconda della fede professata: il capo dello stato deve essere un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita, il presidente del parlamento un musulmano sciita. E nonostante il manuale Cencelli à la libanese, per dare la parvenza d’un equilibrio sociale in realtà assai precario, da ventiquattro mesi ogni scrutinio per la carica più alta della Repubblica si conclude con una fumata nera. Il tutto in un paese segnato già da una lunga guerra civile, prima conclamata e poi strisciante, tra le varie confessioni. Non proprio un modello di stabilità e convivenza da sbandierare nell’Europa liberale e democratica.
Editoriali
Mancavano giusto le lodi papali all'Iran
l'anticipazione