Il Papa prova a far la pace con al Azhar
E’ durato trenta minuti il colloquio tra il Papa e il Grande imam di al Azhar, Ahmed al Tayyeb, ricevuto in Vaticano. I temi del vis a vis erano quelli preparati da tempo dalle rispettive diplomazie (per la Santa Sede, il cardinale Jean-Louis Tauran) e cioè il “comune impegno per la pace nel mondo, il rifiuto della violenza e del terrorismo, la situazione dei cristiani nel contesto dei conflitti e delle tensioni nel medio oriente e la loro protezione”. Quest’ultimo punto è il più significativo, considerato che la profonda frattura tra il Vaticano e la principale istituzione sunnita sul pianeta era stata prodotta proprio in seguito alla condanna fatta da Benedetto XVI contro l’attentato a una chiesa di Alessandria d’Egitto, cinque anni fa. La reazione di al Tayyeb fu durissima, con il Papa che veniva accusato di intromettersi in vicende di uno stato estero e il conseguente congelamento d’ogni rapporto.
In realtà, il grande imam – anche per pressioni interne – colse la palla al balzo per far pagare a Roma la lectio magistralis di Ratisbona del 2006, si notò fin da subito oltretevere. Per la linea politicamente realista vaticana era fondamentale riallacciare i rapporti con il più credibile e autorevole interlocutore sunnita, soprattutto in un’ottica anti fondamentalista, benché i dubbi sulla propensione pacifica di al Tayyeb – che ha ricevuto da Francesco il Medaglione dell’ulivo della pace – non manchino. Dopotutto, se è vero che per i terroristi califfali ha invocato “la crocifissione” o almeno “il taglio dei piedi e delle mani”, è lo stesso che ha ammesso la liceità del martirio contro gli israeliani, auspicando “l’unità contro il nemico sionista”.