Il doppio messaggio di Ruini al Papa
E’ alla fine della lunga intervista concessa ieri al Corriere della Sera sull’Aldilà per il lancio del suo libro (“C’è un dopo? La morte e la speranza”, Mondadori) che il cardinale Camillo Ruini sfodera la frase che mette in risalto l’interrogativo che tanto ha fatto scrivere e meditare sul pontificato corrente: “Prego il Signore perché l’indispensabile ricerca delle pecore smarrite non metta in difficoltà le coscienze delle pecore fedeli”. Si tratta sì d’un auspicio affinché i gesti e le parole di Francesco (comprese quelle a braccio sul terrorismo che sarebbe nulla a confronto della guerra o sui battezzati che ammazzano le suocere e quindi non sono troppo diversi dagli sgozzatori di preti sull’altare) non vengano fraintesi, diventando oggetto di dispute più o meno alte che mettano la sordina ai propositi giusti e meritori di ridare vigore a un cristianesimo in occidente sempre più apatico.
Le parole di Ruini valgono però anche come constatazione che attorno alla rivoluzione quotidiana innescata dal vescovo di Roma preso quasi alla fine del mondo – sempre più disponibile a entrare in dialogo con il mondo non cattolico e assai propenso a richiamare i cattolici con toni non sempre improntati alla paterna dolcezza – c’è un disagio che non coinvolge solo editorialisti da salotto o cosiddetti tradizionalisti nostalgici, ma anche tanti cattolici che pure non tengono sul comodino la Summa Theologiae di Tommaso. La chiosa ruiniana è l’indizio d’un disorientamento che serpeggia, ovattato, nella gerarchia episcopale italiana, che Ruini conosce bene anche ora che è stata innestata di forze fresche più vicine al nuovo corso improntato alla ricerca di pastori con l’odore delle pecore.
Vangelo a portata di mano