Gerhard Ludwig Müller (foto LaPresse)

Dopo Pell, Müller. Nuovi fulmini sul Vaticano

Redazione

Cosa significa, se confermata, l’uscita del card. tedesco dalla Dottrina della fede

Il fulmine su San Pietro stavolta non s’è visto, ma sono comunque giorni di tempesta sul cupolone. Ventiquattr’ore dopo l’incriminazione del cardinale George Pell per “gravi reati sessuali” con conseguente congedo disposto dal Papa per il porporato australiano, ecco la nuova bomba, rilanciata da diversi organi di stampa: Francesco ha deciso di cambiare il prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, Gerhard Ludwig Müller, a quanto pare pronto a fare ritorno in Germania (chissà se sulla cattedra di Magonza o in qualche università). Sussurri – che il quotidiano argentino Clarín aveva per tempo annunciato – che nel pomeriggio di ieri si sono fatti sempre più forti raccontano della decisione papale (comunicata al diretto interessato) di non rinnovare al prefetto il mandato quinquennale, che scade domani 2 luglio. Salvo dunque clamorosi ripensamenti, sempre possibili nell’èra del Pontefice che cura personalmente la propria agenda e cambia anche all’ultimo minuto scelte che si consideravano già fatte (l’esempio recente della “sorpresa” De Donatis a Roma insegna), l’esperienza dell’uomo che Benedetto XVI volle nel 2012 nell’ufficio che per più d’un ventennio fu suo, si deve considerare conclusa.

Fulmine o no, la sorpresa è relativa. Che Müller non fosse del tutto allineato al nuovo corso era cosa nota da tempo. Gli interventi del cardinale su questioni centrali del pontificato (famiglia e morale sessuale su tutte) non collimavano con le aperture invocate da Francesco e dalla sua cerchia più stretta, che ha nel teologo argentino e arcivescovo Víctor Manuel Fernandez una sorta di nume tutelare. Se confermata, la sostituzione di Müller (“epurazione”, secondo l’opinione di un fronte trasversale vaticano), segnerebbe il primo concreto cambio di passo nella squadra di governo curiale. Bergoglio, finora, ha agito soprattutto sulle scelte dei vescovi da mandare nelle diocesi (con scelte per lo più ispirate al criterio del pastore “con l’odore delle pecore”), ma sostanzialmente – tranne poche eccezioni – non aveva toccato l’impianto della macchina vaticana che si era trovato una volta eletto al Soglio. Cambiare quello che fino a qualche decennio fa era il primo collaboratore del Pontefice è un segno chiaro che il pontificato ha iniziato la sua seconda fase.