Paternalismo nostro
Dal 2018 sarà vietato vendere sigarette nello Stato (etico) del Vaticano
L’inesorabile trasformazione della Santa Sede in ong salutista e ambientalista procede senza intoppi. Dopo l’abbraccio incondizionato alla lettura catastrofista mainstream sul clima, celebrato pochi giorni fa con un convegno della Pontificia accademia delle scienze in cui, oltre a colpevolizzare l’uomo per “un cambiamento climatico fuori controllo”, si invitava a incentivare la dieta vegetariana, dal 2018 in Vaticano sarà vietata la vendita di sigarette a dipendenti, religiosi e diplomatici per non cooperare con una “pratica che danneggia la salute”. La decisione è stata presa da Papa Francesco in persona, ha spiegato il portavoce vaticano Greg Burke, il quale ha citato i dati dell’Organizzazione mondiale della sanità e gli oltre 7 milioni di morti causati dal fumo ogni anno. Improvvisamente paternalista e curiosamente bacchettone, il Papa supera in volata il neo premio Nobel Thaler e la sua teoria del nudge, la “spinta gentile” che il governo centrale deve dare ai suoi cittadini per ottenere da loro comportamenti virtuosi. Ma perché fermarsi al fumo allora? Se è la salute delle persone che sta a cuore alla Santa Sede (con l’aggiunta di una spruzzata di anticapitalismo moralista che non guasta mai, con l’autocritica sul profitto fatto vendendo veleno cancerogeno), il nuovo stato etico del Vaticano potrebbe – anzi dovrebbe – chiedere alle trattorie di Borgo Pio di togliere amatriciana e carbonara dai loro menu, dato che l’Oms classifica come cancerogeni gli insaccati. E poi basta birra, vino, aperitivi alcolici, grappe, limoncelli e carni rosse all’interno dei confini del piccolo stato della chiesa. Non solo, però: qualcuno dica al Papa che anche il mate, la bevanda argentina di cui è ghiotto, è considerata potenzialmente cancerogena dall’Oms.