Il voto delle periferie esistenziali
"I cattolici si lamentano della loro irrilevanza ma l’hanno in qualche modo coltivata, chiusi nel ghetto della ‘idea fissa’". La risposta di Introvigne al girotondo fogliante sul voto cattolico
Il Foglio ha chiesto a varie personalità il motivo dello scollamento tra la linea della chiesa e le scelte dell'elettorato cattolico. La distanza appare sempre più profonda, è davvero realizzabile quella “terza via” tra il collateralismo e il rischio di irrilevanza di cui ha parlato la scorsa settimana l’arcivescovo Bruno Forte in un’intervista al Corriere della Sera?
Esiste – e se sì – a cosa è dovuto lo scollamento tra quanto la chiesa proclama su grandi temi quali ad esempio immigrazione e lavoro e il conseguente comportamento dei cattolici una volta entrati in cabina elettorale?
Monsignor Bruno Forte sul Corriere della Sera ha nei giorni scorso auspicato una “terza via” tra il collateralismo e il rischio di irrilevanza. Ci sono spazi in Italia per una “terza via”? In che cosa potrebbe o dovrebbe consistere?
Ho letto molti commenti sull’irrilevanza dei cattolici nelle elezioni, alcuni condivisibili e altri molto meno. Le prime analisi condotte con una metodologia scientifica mostrano che, come avviene da molti anni, quel 17 per cento di cattolici praticanti – mai dimenticare questo dato, l’83 per cento degli italiani non va in chiesa neppure una volta al mese (secondo i dati reali, che non sono i dati Istat cari a qualche giornalista, quelli indicano quanti “dichiarano” di andare a messa, che è una cosa diversa) – si distribuisce nel voto ai partiti più o meno come gli altri italiani. In particolare, tra i cattolici praticanti, la percentuale di voto ai Cinque stelle sembra essere la stessa che tra la popolazione in generale e anche quella alla Lega.
Il fatto che questo stupisca quelli che fanno notare che la Lega è in rotta di collisione con il Papa sull’immigrazione e i Cinque stelle su aborto e matrimonio omosessuale hanno posizioni opposte al Catechismo della chiesa cattolica o almeno ambigue mi porta al cuore del problema. Già diversi anni fa avevo usato l’immagine dell’“idea fissa”. Per la goliardia, quando esisteva ed era capace di esercitare l’autoironia su quella che allora (non oggi, ovviamente) era una élite privilegiata, composta da chi andava all’università, l’“idea fissa” dello studente universitario (maschio, le goliarde donne erano poche) era, per usare un eufemismo, andare con le ragazze. Per una buona parte del mondo cattolico impegnato l’“idea fissa” sono gli omosessuali, e più o meno tutto quanto attiene alla sfera della sessualità e della riproduzione. E’ ovvio che si tratti di temi importanti. Per quanto pochi lo sappiano, Papa Francesco ha condannato più volte l’aborto in termini molto duri e Amoris Laetitia (che pochissimi hanno letto, tranne le due note del capitolo 8 sulla comunione ai divorziati risposati) condanna l’equiparazione del matrimonio fra un uomo e una donna ad altre forme di matrimonio e denuncia l’ideologia del gender.
Non è questo il punto. Per me una chiave per capire il pontificato di Papa Francesco è il viaggio negli Stati Uniti del 2015, quando ha cercato – senza successo, come dimostrano le resistenze dei vescovi che continuano ancora oggi – di spiegare all’episcopato americano che le “guerre culturali” in tema di vita e di famiglia erano finite, che i vescovi le avevano perse e che si apriva una fase nuova dove i temi della vita e della famiglia sarebbero stati una parte dell’impegno politico dei cattolici ma non la sola parte e forse neppure la prima. Attenzione: il Papa non diceva che combattere le “guerre culturali” non fosse stato alto e nobile, diceva che si apriva una fase nuova.
Può darsi che il Papa non capisse gli Stati Uniti, dove un numero di elettori più o meno quadruplo rispetto all’Europa dichiara ancora di dare un grande peso ai temi dell’aborto e della famiglia quando vota, o forse anticipava uno scenario che negli Stati Uniti è futuro e riguarda le nuove generazioni, anche di cattolici, più simili ai loro coetanei europei. Ma certamente l’analisi era pertinente per l’Europa. Detto in termini più semplici e meno ecclesiali, l’elettore europeo – anche se fa parte della minoranza che va a messa o va a un culto protestante – non vota facendo anzitutto l’esame del sangue ai partiti su aborto e omosessuali. In realtà non vota neppure sull’accoglienza ai rifugiati o il ragionevole sostegno agli immigrati – rifugiati e immigrati sono categorie diverse ma è difficile spiegarlo agli elettori – e l’“idea fissa” cosiddetta “immigrazionista” è solo la versione di sinistra dell’“idea fissa” su gay e aborto della destra.
Ma l’elettore reale non vota mai su un tema solo. Vota perché si sente, per citare ancora Papa Francesco, imprigionato in una di quelle periferie esistenziali che non sono necessariamente territori fisici ed esistono anche al centro delle città, e non si riferiscono solo alla povertà materiale ma anche all’insicurezza e alla solitudine. Quando l’elettore, anche cattolico, decide per chi votare il reddito di cittadinanza è più importante dell’aborto, e anche per molti che votano Lega la sicurezza e l’alleggerimento della pressione fiscale sono più importanti del no al matrimonio omosessuale o dei rosari di Salvini. E quei pochi rimasti a votare la sinistra non hanno sposato l’immigrazionismo della Boldrini ma sperano in un residuo della tradizionale tutela garantita dal vecchio Pd ai lavoratori dipendenti.
I cattolici si lamentano della loro irrilevanza ma l’hanno in qualche modo coltivata, o perseguendo una politica di puro potere e poltrone, ovvero rimanendo chiusi nel ghetto dell’“idea fissa”, perdendo il contatto con la stragrande maggioranza della popolazione per cui i primi problemi sono arrivare a fine mese e, anche per chi ci arriva comodamente, evitare di farsi aggredire per strada e sfuggire alla narrativa deprimente che alimenta la sensazione di solitudine anche in mezzo alla più rumorosa delle folle.
Il paradosso è che i cattolici su questi temi avrebbero tantissimo da dire e che milioni di persone (come sa chi non si fa distrarre da certi blog) considerano Papa Francesco un punto di riferimento più autorevole di qualunque politico.
Ma i cattolici non parlano dei temi che davvero determinano il voto della maggioranza degli elettori perché o sono impegnati nel gioco delle poltrone – è l’impressione che ha dato la cerchia intorno a Renzi, dove i cattolici non mancano – o perché rimangono in un cerchio autoreferenziale dove si danno ragione fra loro e che scambiano con l’Italia.
In campagna elettorale ho sentito persone molto sensate cercare di convincermi che il PdF di Adinolfi avrebbe fatto il quorum “perché tra i miei amici lo votano in tanti”, o che alla fine i cattolici del sud non avrebbero votato i Cinque stelle perché i loro sindaci vanno ai gay pride. Con tutto il rispetto, questi mi ricordano i miei colleghi professori universitari americani che erano sicuri che Trump avesse zero probabilità di vincere perché nei loro ambienti non è che lo votassero in pochi, è che non lo votava (o confessava di votarlo) nessuno.
Ci sono certamente ambienti (che sia questa l’“Opzione Benedetto”?) dove tutti votano chiedendo ai candidati primo, che cosa pensano dei gay, e secondo, che cosa pensano dell’aborto. Ci sono anche ambienti opposti, più piccoli, per cui accogliere tutti gli immigrati è l’unico dogma sopravvissuto. Sono ambienti che esistono e fino a qualche anno fa si poteva anche immaginate di esportarne le idee in un ambito più vasto e vincere qualche elezione, almeno regionale. Oggi però la situazione è diversa. Se uno, per citare per l’ultima volta Papa Francesco, si accorge che l’aria si sta facendo un po’ stantia e spalanca le finestre, si accorge che il mondo fuori dallo stanzone dell’“idea fissa” è diverso e che, quella che sembrava maggioranza o perfino unanimità dentro lo stanzone, diventa una componente minoritaria in marcia verso l’irrilevanza nel vasto mondo di fuori.
I cattolici possono tornare a contare? Sì, nella misura realistica del loro essere minoranza, se aprono la finestra, escono dallo stanzone e anzi magari abbattono la finestra e il muro che li rinchiude (ancora, più o meno il contrario della famosa “Opzione Benedetto”). Parafrasando Marx, ormai non hanno più nulla da perdere, tranne le catene dell’“idea fissa” che si sono messe da soli.
Massimo Introvigne, sociologo, direttore del Cesnur (Centro studi sulle nuove religioni)